Mercoledì 24 Aprile 2024

Le parole sono spread

Roma, 15 settembre 2018 - Da quando nel novembre del 2011 Mario Draghi è diventato presidente della Banca centrale europea, estorcergli una sillaba su un singolo paese e in particolare sul suo è stata una impresa quasi impossibile. Se l’altro ieri gli è scappato di dire: «Le parole del governo hanno fatto danni agli italiani. Aspettiamo i fatti», significa che l’irritazione era ormai incontenibile. Negli ultimi tempi, la gestione della lingua italiana nel Palazzo è piuttosto faticosa. Ma se si usassero più condizionali, se si dicesse “vorremmo” invece di “vogliamo”, “faremmo” invece di “faremo”, lo spread riuscirebbe a rilassarsi invece di vivere ogni momento sull’orlo della crisi nervosa. Laura Castelli, attivissima vice ministro dell’Economia per il M5s, ha annunciato che dal primo gennaio non esisteranno ‘pensioni di cittadinanza’ inferiori a 780 euro mensili. Sarebbe giusto e ne saremmo tutti lietissimi, ma ne ha parlato col suo ministro Giovanni Tria?

Abbassare l’età pensionabile da 67 a 64 anni (arrivando a 100 con gli anni di contributi) costa 11,5 miliardi. Portarla a 62 – come vorrebbe Salvini – costerebbe un miliardo e mezzo in più. L’abbiamo? Lega e Movimento 5 Stelle hanno concordato di dividere a metà le risorse disponibili: 50% per ridurre le tasse e 50 per il reddito di cittadinanza. Non sappiamo se l’abolizione della Fornero sia patrimonio comune o in quota leghista. Al ministro dell’Economia è scappato di dire che preferirebbe abbassare di un punto l’aliquota fiscale più modesta. Ma è il passo della formica in un governo di gazzelle e infatti ieri il progetto è stato accantonato. È davvero difficile capire che cosa accadrà, dopo che l’intero governo si è detto d’accordo nel non superare il famoso 3% di rapporto tra deficit di bilancio e prodotto, ma non si è impegnato a portarlo troppo sotto. Se si riuscisse a escludere dal conto gli investimenti – come richiesto invano dagli ultimi governi – già si farebbe un passo decisivo. Per ora il solo gioco di parole denunciato da Draghi è costato qualche miliardo agli interessi dello Stato e dei risparmiatori. Potremmo recuperarlo con una legge di bilancio assennata. Riusciremo a farlo? La colpa di tutto questo affanno dissennato sono i sondaggi.

È vero che contano soltanto i seggi in Parlamento (330 del M5s contro i 183 della Lega), ma da quanto le proiezioni di voto vedono il partito di Salvini superare il 30% e distaccare di 4/7 punti quello di Di Maio, è cominciata una rincorsa forsennata a chi promette di più. (E il ‘merda!’ di cui ieri il nostro ministro dell’Interno è stato gratificato dal suo collega lussemburghese lo farà volare ancora di più). A fine maggio ci saranno le elezioni europee. Nel 2014 Renzi arrivò al 41% grazie anche ai 10 miliardi spesi per gli 80 euro. Lega e 5 Stelle vorrebbero spendere 8 miliardi ciascuno, ma anche se li trovassero dovrebbero ridimensionare di molto le loro promesse. Si aggiunga che il crollo del ponte di Genova sta segnando tra i due fronti una pericolosa spaccatura ideologica, prima che politica. Non essere riusciti a fare un decreto vero e proprio (il ‘salvo intese’ equivale a una scatola vuota) è un brutto segnale. Figuriamoci che cosa accadrà quando si discuterà di nazionalizzare la rete di Autostrade per l’Italia (la convenzione è unica e non si può scorporare, si dice, soltanto il tratto ligure). Anche qui, prima di parlare sarebbe meglio mettersi d’accordo per non trasformare noi poveri cronisti.