"Capitale corrotta, nazione infetta", titolava L’Espresso a metà degli anni Cinquanta. A ben oltre mezzo secolo di distanza, Roma o, meglio la sua attuale amministrazione grillina, conquista un altro, non certo lusinghiero, primato. Virginia Raggi è riuscita a farsi proclamare uno sciopero generale contro il degrado della città da tutte le sigle sindacali dell’Urbe, da tutte le aziende municipalizzate, da tutti i servizi locali.
Non c’è un precedente analogo, a memoria d’uomo. E questa prima volta, così clamorosa e così inedita, non può certo essere catalogata come un’ordinaria manifestazione di protesta.
La verità è che nella Capitale e nella sua amministrazione si è ampiamente superato il punto di rottura o di non ritorno verso un declino drammatico e violento che non è più solo economico e sociale, ma è addirittura civico e civile. Il passo successivo, che la ribellione sacrosanta delle forze vive e vitali della città punta a denunciare e a evitare, è il baratro verso il cinismo anarchico di un vivere quotidiano calpestato dall’assenza non di atti o di fatti ma addirittura di segnali.
E la responsabilità primaria, quella finale, di questo precipitare nel baratro, dalla Grande Bellezza alla enorme voragine, è della giunta Raggi. Il sindaco grillino sembra davvero non rendersi conto dell’avvitamento della città su se stessa, a cominciare dal suo centro, tra cumuli di rifiuti, animali liberi e pericolosi, alberi precari e cadenti, strade in disfacimento, metropolitane paralizzate, autobus in fiamme.
Benvenga, dunque, la mobilitazione di massa di chi non ce la fa più a vedere lacerata e ferita quella che per ben oltre due millenni è stata la più bella Capitale del mondo. Se non ora, quando?