Mercoledì 24 Aprile 2024

La politica si svegli

Va male, ma andrà molto peggio. Perché l’attuale carenza di medici negli ospedali si accentuerà visto il blocco del turnover e il corrispondente aumento dei pensionamenti, e perché le risorse per la sanità tenderanno progressivamente a diminuire: la popolazione invecchia e si sa che per curare un anziano servono molti più soldi che assistere un giovane. In questo orizzonte fosco c’è però un vantaggio: che niente accade all’improvviso, ed è possibile prevedere una strategia. Sempre che se ne abbia la volontà, cosa non scontata quando ci sono di mezzo i politici troppo inclini a inseguire il volubile consenso di oggi dimenticandosi delle soluzioni di domani. E la sanità è sempre stata una macchina di consenso, specie dove essa è gestita in massa dal pubblico. I rimedi non sono immediati, ma non impossibili. Ci sono quelli che chiedono le associazioni dei medici, primo tra tutti accorciare l’iter degli specializzandi che in Italia è tra i più lunghi al mondo ma ci sono anche quelli che investono più direttamente la responsabilità della politica. Scartata ovviamente la più facile ("assumiamo e tappiamo i buchi") per mancanza di fondi, non resta altro che la strada maestra di una potente riorganizzazione, tarata su modelli virtuosi. Primo dei quali l’ottimizzazione della produttività dei medici che ci sono. Facendoli lavorare meglio e quando occorre anche di più. La vicenda del primario dell’ospedale di Napoli che tre giorni fa ha chiuso il reparto per consentire a tutti di partecipare alla sua festa stride con gli allarmi di cui stiamo parlando. Certo, Napoli è Napoli, ma l’idea che qualche spazio per intervenire anche altrove ci sia non del tutto è campata per aria. Nell’intramoenia per esempio non tutto fila liscio, ci sono medici ospedalieri che vi dedicano molto tempo, forse più di quanto una corretta organizzazione richiederebbe. Anche perché esistono Regioni, guarda caso quelle in cui è ampio lo spazio dato al privato e alle prestazioni in convenzione come Lombardia e Veneto, dove la produttività dei presidi pubblici è alta, grazie a una più efficiente organizzazione e una migliore sinergia pubblico-privato. Sono quelli i veri benchmark cui far riferimento. Sempre che si pensi meno al consenso e più al servizio alla persona.