Modello lombardo. I pendolari della salute

Una sala d’attesa come tante, nel ventre dell’anonima architettura di uno degli ospedali della cintura milanese. Le persone sono in coda per una visita dalla quale contano di uscire con un po’ di speranza. Sono nervose, come quando in stazione si cerca sul tabellone l’orario di un treno che non arriva mai. E come in un atrio ferroviario provengono da tutta Italia. Sono i pendolari della salute, che in massa scelgono il mito (e la realtà) dell’efficienza sanitaria lombarda, del suo modello pubblico-privato fatto di competenza e cure all’avanguardia. Spesso, chi sta vicino a loro arriva da molto più vicino. E con lo sguardo cerca elementi che dicano di dove siano coloro accanto ai quali siedono.

Nascono conversazioni, a volte amicizie, anche durature. Molto di rado, nei commenti ai parenti che condividono l’ansia e la tensione, qualcuno si lascia andare e attribuisce – magari senza dirlo – a chi arriva da lontano la colpa della lunghezza delle attese, di esami rinviati, di visite fissate troppo in là. La classica guerra fra poveri. Si cede per un istante alla tentazione di un pensiero malevolo, subito mitigato dalla solidarietà fra chi soffre e dall’orgoglio della convinzione di vivere in un luogo dove la sanità, se non sempre ti salva la vita, almeno non te la toglie. Un diritto negato altrove, che in Lombardia è privilegio. Da qui, il sud degli ospedali diroccati, invasi dalle formiche, a volte sembra solo un incubo esotico. Ma chi fa della salute un business, all’ombra del sistema sanitario regionale, sa anche che questi viaggiatori delle cure sono una risorsa preziosa. Non a caso, anche nella profonda provincia, accanto agli ospedali sempre più spesso fioriscono bed&breakfast, alberghi e residence. Perché non esiste solo il flusso dei rimborsi che dalle regioni meridionali giungono al Nord in cambio delle prestazioni in trasferta, ma anche l’indotto di questa forma di turismo obbligato. Eppure, di tale primato non sempre la politica del Pirellone va orgogliosa. Per evitare tensioni e tempi dilatati a causa di queste migrazioni sanitarie, infatti, la precedente giunta di Roberto Maroni aveva provato a mettere un tetto massimo alle attività svolte per chi viene da fuori. Ma i viaggi della speranza continuano.