Russia e Ue, il leghista braccato

La crisi di governo non è formalmente ancora iniziata ma la crisi del governo gialloverde è sotto gli occhi di tutti. Le botte che ieri sono tornati a darsi Salvini e Di Maio superano in virulenza quelle intercorse prima delle elezioni del 26 maggio, con la differenza che allora ci si trovava in quella sorta di zona franca chiamata campagna elettorale mentre adesso elezioni non sono fissate. In teoria. Botte che arrivano dopo un periodo di assestamento post-voto che con la nomina dei due nuovi ministri leghisti aveva fatto pensare al varo di una fase due dell’esecutivo. Poi la vicenda Metropol e l’elezione della tedesca Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Ue con i voti contrari della Lega e favorevoli del M5S, ambedue subite da Salvini, hanno come fatto saltare il banco e tolto il coperchio al vaso delle reciproche recriminazioni. Più che altro hanno indotto il leader leghista a pensare di essere un animale braccato, dall’Unione europea e da qualche altra forza esterna dietro allo scandalo russo, e lo stanno convincendo che tutto sommato, finché i sondaggi vanno bene, è meglio prendere in mano il pallino dell’iniziativa.

È vero che adesso lui è al governo e domani chissà, e da che mondo è mondo ci si difende sempre meglio al governo, ma se i primi colpi ti arrivano da quelli che stanno nella stanza dei bottoni con te allora forse è meglio cercar fortuna nelle urne. 

In ogni caso l’atteggiamento di Salvini e Di Maio prefigura un impantanamento dell’esecutivo di cui il Paese fa già le spese. La lotta interna alla maggioranza ha penalizzato l’Italia nel risiko europeo, speriamo in maniera non irreversibile, come pure le incertezze di un esecutivo così rissoso si sentono in economia e nella formulazione di nuovi piani infrastrutturali. La gente è stanca, chiede chiarezza di intenti. L’unica nota positiva è che entro due-tre giorni il tormentone dovrebbe finire, stavolta davvero. Il presidente Mattarella vuole un eventuale nuovo governo in carica per la manovra e il quarto e definitivo voto sul taglio dei parlamentari previsto per dicembre metterà fretta a tutti: se si voterà anche solo a primavera, in 400 ci rimetteranno di sicuro il posto.