Giovedì 18 Aprile 2024

Ritorno al passato

Il decreto dignità nasce storto già nel nome. Abbiamo quasi tre milioni di disoccupati stabili, da anni e anni, e un terzo dei nostri giovani che non trova lavoro (anche il 50 per cento al Sud). In queste condizioni, fatte salve le garanzie di legge, un impiego è un impiego, senza troppe sottigliezze. Ma nel decreto ci sono anche due errori concettuali di non poco peso, quasi incredibili nel Terzo millennio.

1- Il primo consiste nel non aver capito che in un’economia aperta, competitiva, che vive di esportazioni (il 60 per cento di un’auto tedesca è fatta di componenti italiani), sono le imprese che creano lavoro. Lo Stato, al massimo può fare delle cose farsesche come i lavori socialmente utili. Ma il decreto scarica la ricerca della dignità proprio sulle imprese: tutto viene reso loro più difficile e più caro. Immaginando quasi che le aziende debbano assumere esclusivamente persone a tempo indeterminato, a vita. Questo era un sogno (smentito dalla storia) della sinistra comunista degli anni Cinquanta. C’è voluto più di mezzo secolo per liberarsene, ma adesso ritorna, stranamente, con il governo del cambiamento. Sembra di sentire i vecchi sindacalisti della Cgil, e non dei giovanotti di appena trent’anni. La storia, a volte, gira proprio su se stessa.

2- Il secondo errore è, se possibile, ancora più grave. Si dimentica che il mondo moderno è movimento. Quello che ieri andava bene, oggi non va più e domani andrà ancora meno. In questo contesto le imprese sperimentano, provano, tentano. Non sempre hanno lavori a tempo pieno da offrire. Il lavoro moderno è fatto anche di spezzoni di lavoro, di impieghi che possono durare un mese, due mesi, tre mesi, il tempo di vedere se un progetto funziona o non funziona. Non c’è niente di poco dignitoso in questo. Anzi, spesso si tratta persino di lavori molto qualificati, ma non eterni. Le vecchie aziende di computer sono quasi tutte scomparse. Gli smartphone si sono imposti, nuovi protagonisti, con nuove idee e nuovi prodotti, si sono impadroniti del campo. L’idea, quasi religiosa, di considerare il lavoro temporaneo come una bestemmia, una maledizione, e le imprese come mere distributrici di stipendi fissi senza limiti di tempo, è primitiva, arcaica, tribale.

A tutti, forse, piacerebbe che il mondo fosse quello disegnato nel decreto dignità. Ma il mondo moderno non è quello. È più vivace e più mobile, per fortuna.