Stipendi in retromarcia

Roma, 17 aprile 2018 - Se ne sono accorti anche i liberisti più convinti: in Italia le retribuzioni sono troppo basse. Anzi, negli ultimi dieci anni, invece di andare avanti, hanno ingranato la retromarcia. Con il risultato che rispetto al 2007 impiegati e operai, al netto dell’inflazione, hanno guadagnato 600 euro in meno all’anno. Un trend due volte pericoloso. Se i salari sono bassi, non è detto che trovare un lavoro significhi, automaticamente, allontanarsi dalla soglia della povertà e assicurarsi un futuro economicamente stabile. Ma c’è di più: se le retribuzioni sono basse, chi sosterrà lo sviluppo del Paese? Chi alimenterà l’acquisto di beni e prodotti?

Insomma, siamo ormai in presenza di un vero e proprio circolo vizioso fatto di bassa crescita, domanda interna stagnante e salari in ritirata. Insomma, la questione salariale sta diventando sempre più una mina pronta a esplodere. Se ne è reso conto, qualche mese fa, perfino il numero della Bce Mario Draghi, che da Francoforte ha tuonato contro la bassa crescita dei salari in Europa, invitando imprese e governi a «fare di più». Un allarme rilanciato anche dai più severi custodi delle regole del mercato, gli economisti del Fondo Monetario Internazionale che, in un dossier, hanno puntato il dito sui numerosi fattori che frenano le dinamiche retributive: dal ricorso al part time alle forme di lavoro precario fino alla crescita della produttività innescata dalle nuove tecnologie.

Insomma , se fino a qualche anno il mantra dello sviluppo era quello di ridurre i salari per aumentare la produttività e fare concorrenza ai cinesi, ora la situazione si è radicalmente capovolta. Del resto, la questione salariale va ben oltre la semplice conquista di nuove quote di mercato in un mondo globalizzato. Salari troppo bassi non solo frenano la crescita del Paese (con tutte le conseguenze sul fronte dei conti pubblici) ma mettono a rischio anche gli attuali livelli di welfare e di assistenza. Con stipendi da fame diventeranno sempre più difficili anche i bilanci dell’Inps, dal momento che i contributi non saranno sufficienti a coprire il pagamento delle pensioni.

È venuto il momento di affrontare il problema alla radice, evitando pericolose fughe in avanti con aumenti generalizzati o slegati dalle dinamiche della produttività, ma ponendo la questione salariale al centro del dibattito di un Paese che sta diventando sempre più povero.

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