Regole severe (senza lockdown). Purché la cura non uccida il paziente

A questo punto, i casi sono tre. Primo, alziamo bandiera bianca: il virus c’è, cresce senza esplodere, e prima o poi passerà; nel frattempo sfidiamolo tornando alla normalità. Secondo, il virus c’è, ci assedia ogni giorno di più, chiudiamo tutto fino a quando il rischio di contagio sarà vicino a zero. Terzo, il virus c’è, noi pure, bisogna convivere con il minor danno possibile fino a quando non avremo gli strumenti per sconfiggerlo; e questa convivenza deve essere fatta di regole certe, rigorose, e di una loro altrettanto rigorosa applicazione. Perché chi sgarra è un potenziale serial killer

Bene. Scartata la prima ipotesi, che sfiora il negazionismo per sconfinare nella demenza. Messa da parte la seconda per un motivo molto semplice: per salvare le persone, obiettivo comunque primario, non possiamo uccidere l’altro paziente che ci sta altrettanto a cuore: l’Italia. Perché possiamo anche baloccarci per settimane per decidere se il Pil calerà del 10 o del 9,5 per cento. Dettagli. Possiamo, e dobbiamo vedere qualche luce accendersi nel buio della crisi. Possiamo ingannare noi stessi raccontando come spenderemo i danari del Recovery, quando a Bruxelles emerge una crescente difficoltà nel trovare un consenso unanime per questa elargizione; sapendo che solo l’ok di tutti i 27 paesi accenderà il semaforo verde, e che se questo ok arriverà, sarà a condizioni meno favorevoli di quelle previste in origine.

Possiamo fare tutto questo, senza andare molto lontano. Dunque, ci resta la terza opzione, che sta più o meno nelle proposte elaborate ieri, e che il consiglio dei ministri definirà e presto renderà operative. Con un giro di vite ulteriore sia nella vita pubblica, sia in quella privata. Provvedimenti necessari, sapendo che forse sarebbero stati sufficienti quelli già in atto, se li avessimo seguiti in modo puntuale, e se lo Stato ci avesse aiutati a farlo. Se non ci fossimo accalcati nelle movide sfida-virus, e se le aziende di trasporto non ci avessero fatto accalcare su bus e vagoni. Ad esempio. Se le distanze nei locali non si fossero accorciate fino a tornare al “fiato a fiato” del pre Covid. Per farla breve: camminiamo su un crinale sempre più sottile, rischiando di cadere da un lato nell’abisso della malattia, e dall’altro nel baratro della crisi. Di virus si muore, di lockdown pure. A noi, ora, più che ai governi, la scelta: cadere, o arrivare con un surplus di prudenza e disciplina alla fine della traversata.