Referendum, le ragioni del Sì

Una svolta per l'Italia

Roma, 9 agosto 2016 - Il referendum non è un affare da addetti ai lavori, ma un argomento concreto che inciderà sulla vita degli italiani. Le ragioni del Sì sono almeno tre: in primis avremo un processo di formazione delle leggi più chiaro e meno complicato; secondo è più probabile che il giorno del voto sapremo a chi tocca governare; terzo si eliminerà un bel pezzo di ceto politico elettivo.

Vi immaginate se nella prossima legislatura, invece che pensare a risolvere i problemi di imprese e famiglie, a dare una mano ai ragazzi che pensano al proprio futuro, dovessimo tornare a discutere (inutilmente) di riforme costituzionali? Se si tornasse alla casella d’inizio del gioco dell’oca, con comitati di saggi, commissioni bicamerali, convegni e seminari come negli ultimi trent’anni? Il nostro Paese forse merita qualcosa in più. Merita soprattutto di capire perché il referendum non è un affare per addetti ai lavori, un esercizio teorico per habitué dei salotti tv compiaciutissimi di spaccare il capello in quattro, o per quelli che ‘a me Renzi piace’ contro quelli che ‘io proprio non lo sopporto, quindi assolutamente No!’. Chiudiamoli tutti mentalmente in uno sgabuzzino e cominciamo a pensare che la riforma è un affare dannatamente concreto, che inciderà eccome sulla vita degli italiani. Per almeno tre motivi.

Primo. Con il Sì avremo un processo di formazione delle leggi più chiaro e meno complicato. In tutta Europa, nei paesi che hanno due camere, una ha pieni poteri, l’altra è più piccola, ha meno poteri e, con l’eccezione dei Lord inglesi, è espressione degli enti territoriali. Per riformare la Costituzione e per poche altre leggi di rilievo simile continuerà a essere necessario il voto del Senato, come elemento di garanzia. Per tutte le altre leggi, il Senato potrà proporre modifiche, ma sarà la Camera ad avere l’ultima parola. In più, le leggi su infrastrutture, politica energetica e turismo tornano nelle mani dello Stato. Perché mai un imprenditore dovrebbe districarsi tra 20 leggi regionali per fare investimenti nel turismo? E perché mai dovremmo avere 20 norme differenti sulla disciplina delle professioni?

Secondo, con il Sì, è più probabile che il giorno del voto sapremo a chi tocca governare. Non avremo due Camere che si smentiscono a vicenda e producono ‘non vittorie’. Quale che sia il sistema elettorale. Una qualsiasi legge maggioritaria va bene. L’Italicum NON fa parte della Costituzione e quindi non è oggetto del referendum. Si potrà cambiare quando si vuole, con legge ordinaria, sia prima che dopo il referendum. E la riforma non cambia di una virgola i poteri del premier: non il potere di sciogliere le Camere, non quello di nominare e revocare i ministri, non la sfiducia costruttiva, come invece volevano D’Alema e Berlusconi (ora paladini del No). Ci sono invece limiti al numero di decreti legge, un quorum più alto per eleggere il capo dello Stato e un quorum più basso per i referendum che saranno anche propositivi.

Terzo, alla sacrosanta eliminazione di un bel pezzo di ceto politico elettivo (315 senatori stipendi inclusi) si accompagna l’abolizione del Cnel e delle Province. Ed è stupefacente come i Cinque Stelle, i demolitori della casta e di ogni forma di spreco oggi vogliano mantenere a tutti i costi Senatori, Cnel e Province.

La riforma non è perfetta, nessuna riforma lo è. Perché sono il frutto di mediazioni tra forze politiche, non sono progettate a tavolino o in camere iperbariche da scienziati con i guanti di lattice. Ogni opinione è legittima anche quelle di chi non cambierebbe mai nulla, nemmeno la posizione dell’orrendo soprammobile, regalo di nozze di quaranta anni fa, sopra l’eterna mensolina a fianco della Tv. Ma votare Sì ci traghetta verso uno Stato più semplice e meno eccentrico, al servizio dei cittadini per un tempo nel quale Renzi chissà dove sarà.