Mercoledì 24 Aprile 2024

L'elettore sul divano

Il reddito di cittadinanza: la bandiera di Luigi Di Maio e "il rischio del divano". Potrebbe essere questo il titolo di una breve storia di ordinaria consuetudine italica, quella che cercheremo di raccontare qui. Ebbene, facciamo un passo indietro: il reddito di cittadinanza e la cosiddetta pensione di cittadinanza possono essere e sono oggetto di riflessione accademica e di dibattito politico da anni. Si possono avere opinioni favorevoli e contrarie nel merito: nella letteratura economica non mancano le tesi a sostegno e quelle nettamente di segno opposto. Il problema, però, ora e adesso, non è più confinato nelle aule universitarie. I grillini insistono e ripetono in tutte le forme che il 2019 dovrà essere l’anno di avvio delle due inedite misure. Anzi, in un crescendo di annunci quotidiani, hanno indicato anche le date nelle quali pensionati al minimo e disoccupati dovranno cominciare a ricevere l’assegno da 780 euro mensili. Date che, non a caso, si collocano nei primi mesi dell’anno, comunque sia prima delle elezioni europee. Nessuno scandalo per questa mossa politico-elettorale: in fondo anche i 5 Stelle, nella loro antipoliticità, fanno i loro calcoli politici. Come Matteo Renzi con gli 80 euro proprio alla vigilia dello scorso voto europeo. Peccato, però, che l’operazione, se congegnata in fretta per centrare l’obiettivo elettorale, rischia di rivelarsi solo un mega-spot assistenzialistico. E qui entra in gioco il divano. Sia Di Maio sia Matteo Salvini lo hanno evocato, il primo per sostenere che il sussidio non sarà dato per lasciare i giovani a poltrire sul divano di casa (dei genitori), il secondo per avvisare che l’intervento non va bene se dovesse produrre questo risultato. Tutto bene, dunque? Pericolo scampato e divano vuoto? Neanche per idea, come si dice: perché, molto banalmente, per evitare il rischio dell’assistenza fine a se stessa, servirebbe qualcuno che offra un lavoro, un’opportunità di formazione, un corso di orientamento. E questo qualcuno, semplicemente, nel sistema pubblico non c’è. I centri per l’impiego, soprattutto nel Mezzogiorno, sono strutture evanescenti e fatiscenti. E, come ben sanno gli addetti ai lavori, per rimetterli in sesto ci vorrebbe almeno un anno e mezzo. Troppo per la scadenza elettorale della primavera. Quanto basta, però, per lasciare i nostri disoccupati sul divano.