Pescatori liberati, Conte e Di Maio a Bengasi. Ma la trasferta era necessaria?

La soddisfazione della comunità nazionale e di ciascuno di noi è massima per la liberazione dei pescatori italiani tenuti prigionieri dai libici del generale Haftar per oltre tre mesi. Ma, passata la gioia, non possiamo non farci qualche domanda e non restare sconcertati dalle zone d’ombra per un atto di cedimento reale e altamente simbolico del premier Conte e del Ministro degli Esteri, Di Maio, di fronte a un signore della guerra che ha compiuto un crimine: il sequestro dei nostri connazionali. E’ sacrosanto fare di tutto per salvare vite umane, ma era così necessario recarsi ai massimi livelli dello Stato, magari carichi di doni, da chi ha tenuto in ostaggio i nostri pescatori?

Non era meglio lasciare l’ingrato compito ai servizi di sicurezza? E allora, delle due, l’una. Conte e Di Maio sono andati in Libia per gloriarsi pubblicamente della liberazione dei cittadini italiani illegalmente detenuti e, in questo senso, prendersi il (presunto) merito dell’operazione? E, dunque, si sono mossi verso Bengasi per conquistare una passerella mediatica, ritenendo, magari, di far dimenticare il grande caos politico e di gestione della pandemia in cui si dibatte il governo? Vogliamo pensare e sperare che non sia questa la motivazione del viaggio. Anche perché c’è davvero ben poco da festeggiare dopo aver lasciato nelle illegali prigioni libiche 18 pescatori per oltre 100 giorni. Semmai, ci sarebbe solo da chiedere scusa a loro e alle famiglie per non aver fatto l’impossibile prima.

Delle due, l’una, dicevamo. E allora veniamo alla seconda ipotesi. Il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri si sono levati in volo all’alba alla volta della Cirenaica perché il padrone della regione ha preteso un vero riconoscimento politico per liberare gli italiani? Dunque, Haftar ci ha ricattato? E noi abbiamo ceduto?

Anche in questo caso e, a maggiore ragione in questo secondo caso, ci auguriamo che non sia così. Ma il fatto rimane. E rimangono aperti troppi interrogativi sulla mossa del premier e del responsabile della Farnesina, domande inquietanti che meritano risposte esaustive e puntuali. Ne va non tanto della dignità dei due uomini di governo ma della nostra dignità nazionale. Tanto più se pensiamo a quello che è accaduto solo pochi giorni fa: le milizie dello stesso Haftar sequestrano una nave turca, nel giro di poco tempo da Ankara avvisano che rischiano grosso, mentre droni armati sorvolano le postazioni libiche. Il risultato? L’imbarcazione viene rilasciata a stretto giro. E forse anche con tante scuse al sultano.