Martedì 23 Aprile 2024

Chiusi 70mila negozi, la nostalgia delle vecchie botteghe

Senti st’olive, queste so’ greche. Greche". Gli urla Mario Brega. E Carlo Verdone, con la bocca piena, è costretto ad annuire: "So’ greche". Scena dal film "Borotalco", interno di un negozio di alimentari: era ‘solo’ il 1982, ma sembrano passate ere geologiche. E mentre Confcommercio ricorda come negli ultimi dieci anni abbiano chiuso 70mila negozi nei centri storici, sale la nostalgia. A livelli così alti, che diventa perfino olfattiva. Chissà che cosa daremmo ora per trovare un salumiere che affili il coltello di fronte a noi e inizi a tagliare il prosciutto, senza bisogno di mettersi davanti, come se fosse in fabbrica, all’affettatrice.

Fette perfette, tutte così uguali, perfino un po’ – perdonatemi – tristi. Senza che l’imperfezione sconvolga (piacevolmente) il prosciutto per esaltarne il sapore. E desideriamo così tanto sentire, almeno col naso, il profumo di quel prosciutto che, solo in questo modo, ci rendiamo conto di quanto ci manchino le vecchie botteghe. Le cerchiamo col lanternino. Magari per sentirci ripetere, persi nei ricordi: "Che faccio signò, lascio o metto?". 

Qui, non è questione di "madeleine" proustiane e di un tempo perduto. Un tempo, appunto, in cui arrivare in un negozio del centro storico era un rito. Allora si pensava che il rapporto col negoziante fosse di fiducia, anche se sotto sotto il retropensiero era quello che "lui faceva contenti noi ma faceva contento soprattutto se stesso". Lo sconto era un premio alla fedeltà di noi acquirenti. Senza bisogno di avere una tessera a punti che lo certificasse o di un’app con i codici a barre di tutte le nostre card: dal supermercato al negozio di giocattoli. 

Certo, ai tempi, l’acquisto di per sé, che fosse un paio di scarpe o un vestito fatto su misura, non era certo paragonabile a un evento raro, ma non era comunque così ordinario e ricorrente, come lo è ora. Ci siamo così tanto abituati agli acquisti in serie e alle comodità, che non ci siamo accorti che nel frattempo i centri storici si svuotavano. 

La chiamano gentrificazione, con un termine ostico sia nella traduzione (quasi letterale) sia nel suo significato: più strutture ricettive, più grandi marchi nel cuore delle nostre città, anche perché per pagare gli affitti serve una certa liquidità. Ora che (forse) ci siamo spinti troppo avanti, si riflette sul fatto che un centro storico non possa essere solo appannaggio di hotel e grandi catene. Ma che l’acquisto, qualunque esso sia, nasca anche da un gioco di sguardi, rapporti di fiducia e manualità. Cose umane. Semplici e tutt’altro che banali.