Negare l’identità delle donne. L’ultimo pericolo

Scarpette rosse, muri di bambole, comunicazioni istituzionali: mancano solo dolci e cadeau “25 novembre” per celebrare la kermesse.

Si spillano numeri sempre peggiori: un femminicidio ogni tre giorni (due proprio ieri).

Alcuni media sempre compassionevolmente in cerca delle ragioni di lui ("Era depresso", "Lei voleva lasciarlo"). Più 104% di violenze in lockdown. Occupazione femminile al 48%, ben al di sotto degli obiettivi di Lisbona, 60%. Gender pay gap in aumento, dispersione scolastica delle bambine. Revenge porn, immagini intime messe online da mariti e fidanzati. Nove milioni i clienti di prostituzione. Abusi psicologici, minacce, stupri. L’utero in affitto, paradigma di ogni sfruttamento.

Violenza più - violenza meno, il catalogo è questo. Dà l’idea di un tempo fermo al delitto d’onore (in vigore fino al 1981: l’altro ieri). Definizione, quella di “onore” che quanto meno dava conto di una ragione universale per la strage delle donne.

Ma la parola giusta è un’altra. La parola è dominio. "La perversione del dominio di un sesso sull’altro" (Benedetto XVI). E’ il moto invidioso per il corpo femminile fecondo, pietra su cui si è edificato l’immane costruzione patriarcale.

La violenza in tutte le sue declinazioni è funzione del dominio: serve a “tenere sotto” le donne. E gli uomini sanno bene che “sotto” le donne non ci stanno più.

"Il dominio maschile è finito" ha dichiarato Ernesto Galli della Loggia nel corso della maratona filosofica “Pensare il presente”: la trasformazione che il mondo sta chiedendo, Covid compreso, è questa. "Il mondo è delle donne" dice il sociologo francese Alain Touraine. L’animale è morente, e i colpi di coda sono feroci.

L’estremo tentativo è cancellare le donne, impedire loro perfino di nominarsi tali in cambio di un’identità di genere in cui essere donna è a disposizione di tutti: qui è il fronte, qui la battaglia. Probabilmente l’ultima. La più subdola, la più dura.