Manovra, la grande scommessa

Manovra, deficit al 2,4%: Luigi Di Maio esulta dal balcone di Palazzo Chigi (Ansa)

Manovra, deficit al 2,4%: Luigi Di Maio esulta dal balcone di Palazzo Chigi (Ansa)

La grande scommessa o l’azzardo finale. O, detto diversamente, l’ultima manovra del governo giallo-verde o la prima di una legislatura che dura. Quel che è certo è che l’impostazione di politica economica che emerge dalla tesissima notte romana di Palazzo Chigi è una sfida in piena regola all’Europa e ai mercati, alle istituzioni finanziarie internazionali e alle agenzie di rating. Forse una sfida in parte calcolata e in parte inevitabile, ma comunque una scelta che implica rischi tutti da scongiurare e vantaggi tutti da conquistare. È certamente una buona notizia che il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, non si sia dimesso e abbia negoziato fino all’ultimo una soglia di deficit estrema, accettando alla fine un livello che sembrava impossibile in questa fase come è quello del 2,4 per cento.

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La permanenza alla guida del Tesoro del mite ma determinato economista di Tor Vergata è essa stessa garanzia di quella basilare dose di stabilità necessaria per superare lo strettissimo passaggio dell’aggiornamento del Def e tentare di fare da argine alla probabile tempesta. E di sicuro, dietro Tria, si intravedono le rassicuranti figure di Sergio Mattarella e Mario Draghi. Meglio non immaginare che cosa sarebbe accaduto allo spread e ai tassi dei titoli italiani (e dunque al costo di prestiti e mutui per famiglie e imprese) se l’assalto all’ultimo decimale di Luigi Di Maio e Matteo Salvini avesse portato «anche» all’uscita di scena del responsabile del dicastero di Via XX Settembre.

Ma la soluzione 2,4 per cento non presenta sotto nessun profilo le caratteristiche tipiche di un risultato di compromesso o, se si vuole, dello scampato pericolo. E, dunque, da qui in avanti si tratta di un esito tutto da gestire. In ballo c’è sicuramente la reazione dell’Europa, che potrebbe chiedere drastiche correzioni e risoluti cambi di rotta e addirittura spingersi fino all’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia. Di Maio e Salvini, però, avrebbero buon gioco a far diventare un attacco di questa natura un boomerang per Bruxelles raccogliendo consenso a man bassa nella primavera del voto europeo.

La variabile non affrontabile con le armi della propaganda, perché è inutile farlo, è quella della valutazione dei mercati. E in questo caso, oltre a quello che accadrà oggi, conterà il come il governo utilizzerà i margini di flessibilità che si è auto-concesso. È agevole ipotizzare che un impiego delle risorse derivanti dal maggior deficit in misure assistenziali o di allentamento eccessivo della riforma Fornero si tradurrà in una bufera per i nostri conti pubblici. Lo scenario sarebbe di altro segno se i fondi venissero utilizzati per riduzioni fiscali e investimenti pro-crescita. La scommessa del maggior deficit si rivelerebbe vincente e favorirebbe anche una stabilizzazione del nostro ingentissimo debito pubblico.