Troppe promesse

Ora devono tagliare le promesse spese, cioè i sussidi e le pensioni anticipate, sostanza e carne delle parole d’ordine e dei successi elettorali della Lega e soprattutto dei 5 Stelle. Esattamente come molti avevano previsto (noi tra questi) alla fine i nostri governanti si sono imbattuti nel dilemma: sfasciare i conti pubblici o perdere la faccia tradendo gli impegni? Per settimane e per mesi ci avevano stordito con gli slogan più bellicosi: «Non arretreremo di mezzo millimetro», «Non prendiamo ordini da questa Europa», «Stiamo facendo la rivoluzione», «Sanzioni? Ce ne freghiamo», «I saldi della manovra non si toccano», «Quota 100 per andare in pensione, 780 euro a tutti i senza lavoro, deficit al 2,4 per cento». Eccoli invece Di Maio e Salvini, arrivati al dunque, lanciare il più goffo ‘contrordine compagni’. Da qualche giorno il problema non sono più ‘i numerini’, cioè non sono più le cifre contenute nel bilancio che il governo ha presentato alla Commissione europea e dalla stessa prontamente bocciato. Eppure erano ancora fresche le repliche stizzite dei dioscuri giallo-verdi alle critiche unanimi dei commissari e dei governi europei, ai richiami del Fmi, dell’Ocse, della Banca d’Italia, alle previsioni delle agenzie di rating e persino ai segnali inviati dai mercati con la fuga degli investitori esteri e dei capitali nostrani. Per non dire delle proteste e, oggi, delle manifestazioni contro la politica del governo che sono state promosse dalle organizzazioni confindustriali, del commercio, dell’artigianato. Non avessero fatto tante chiacchiere e tanti annunci tonitruanti, Di Maio e Salvini avrebbero evitato figuracce all’Italia, non avrebbero bruciato miliardi di risparmi e fatto schizzare con lo spread gli interessi sul debito come sui mutui. È la gestione aggressiva e dilettantesca del bilancio pubblico, la pretesa di piegare i conti alla propaganda che oggi li costringe a sforbiciare i loro ‘numerini’ per rientrare nei limiti di spesa compatibili con un Paese che ogni anno deve pagare 80 miliardi di interessi su un debito tornato a crescere oltre i 2.330 miliardi.