Conclusa positivamente, sembra, la trattativa con Bruxelles (che di fatto ha scritto la versione definitiva della manovra italiana), adesso il governo dovrà vedersela con un interlocutore molto più tosto e senza alcuna motivazione politica al quieto vivere: i mercati. La Commissione, che deve lasciar correre uno sfondamento rilevante della Francia, non aveva voglia di mettere sotto accusa l’Italia, che comunque era già stata un po’ condotta a più miti consigli con la riduzione del deficit dal 2,4 al 2 per cento (7-8 miliardi in meno di spese), e quindi ha chiuso la vertenza (probabilmente con qualche altro taglio).
Ma la questione vera che si apre ora è appunto con i mercati. Contrariamente a quello che si dice, nella manovra non ci sono misure espansive: c’è solo una forte ridistribuzione del reddito, fatta per di più a debito. Ma questi sono tempi difficili, tutta l’Europa sta entrando in una fase di contrazione dell’attività economica: già il nostro terzo trimestre è stato negativo. Se lo sarà anche il quarto (probabile), saremo ufficialmente in recessione. Ma con la non-crescita tutti i conti della manovra saltano, non tornano più. Saranno necessari tagli alle spese o nuove imposte. Due cose che questo governo vuole assolutamente evitare, in vista delle elezioni europee, che saranno un banco di prova decisivo per la maggioranza.
E i mercati, che già hanno dato segni di grande nervosismo nei nostri confronti nei mesi scorsi, non saranno tanto teneri. Al primo segnale di cattivo andamento dei nostri conti, lo spread riprenderà a volare, aggravando ancora di più la situazione. In sostanza, il confronto vero sarà (come è sempre stato a partire dal 2011) con lo spread, cioè con la comunità finanziaria mondiale. L’impressione è che il governo abbia perso un’occasione con questa manovra: in vista dell’andamento della congiuntura, doveva essere più espansivo, con più investimenti e più soldi per la crescita. Non è escluso che nel giro di qualche mese si debba provvedere a una sostanziale rettifica. A deciderlo saranno i mercati, dai quali dobbiamo attingere ogni anno 400-500 miliardi.