Venerdì 19 Aprile 2024

Libia, la chiave è l'oro nero

Libia, la chiave è l'oro nero

Libia, la chiave è l'oro nero

Se bastasse una semplice conferenza per rimettere ordine nel caos libico, il problema lo avremmo risolto tempo fa. Lo avrebbe fatto l’Italia già nel 2015, quando in tandem con gli Usa accelerò il percorso verso la creazione del Governo di Unità Nazionale di Fayez al Sarraj. Oppure ci sarebbe riuscita la Francia con i vertici di Parigi di luglio 2017 e dello scorso maggio. O magari il risultato l’avrebbe raggiunto l’Egitto di al Sisi, che da più di un anno riunisce al Cairo i militari di Haftar e di Misurata per riunificare le forze armate libiche. Però, la realtà è, ahimè, ben diversa.

Da quando le istituzioni libiche si sono divise nelle fazioni di Tripoli e Tobruk, i passi in avanti per restituire unità e stabilità alla Libia sono stati pochi. Per due motivi molto semplici, che restano il vero convitato di pietra di qualsiasi iniziativa diplomatica. Primo, gli attori internazionali coinvolti non vogliono rinunciare a portare avanti la propria agenda, e così i loro referenti libici continuano ad avere un ombrello sotto cui ripararsi e nessun vero incentivo a riprendere il dialogo.

Questi atteggiamenti prosciugano di senso anche gli sforzi dell’Onu, che è costretto a muoversi attraverso una fitta ragnatela di veti incrociati. La seconda, gigantesca, pietra d’inciampo è la mancanza di volontà politica nell’affrontare il vero nodo al centro della questione: come redistribuire i proventi della rendita del petrolio tra le varie fazioni. Nel caso libico, è la redistribuzione delle risorse e i meccanismi di accesso alle stesse che possono determinare il funzionamento o meno delle istituzioni, e non viceversa. Ed è questa la vera priorità dei libici, tanto di chi detiene il potere politico e militare quanto dei cittadini. Con una produzione di idrocarburi ormai stabilmente al di sopra di un milione di barili al giorno, la Libia continua a disporre di introiti considerevoli. Ma il disinteresse della comunità internazionale verso l’economia libica, finora, ha permesso il proliferare a tutti i livelli di un atteggiamento predatorio verso le istituzioni. Fino ad aggravare le divisioni esistenti.

La banca centrale libica (che regola l’accesso ai fondi delle autorità politiche) si è divisa in due branche rivali, una a Tripoli e l’altra a Est, in Cirenaica. Stessa sorte è toccata alla Compagnia Nazionale del Petrolio. Eppure una gestione collegiale di tali risorse sarebbe agevolata dalla collocazione geografica dei bacini estrattivi e delle infrastrutture collegate, distribuiti in tutte le tre regioni storiche del Paese. Oggi, nessun percorso diplomatico può pensare di dare stabilità alla Libia se non prova ad affrontare fin dal principio la questione della rendita petrolifera.

Bisogna individuare una formula che ne garantisca un controllo congiunto, dia sufficienti garanzie a tutti gli attori libici, e quindi li incentivi a trovare un nuovo modus vivendi dopo più di quattro anni di combattimenti.