Mamma, voglio fare l’operaio". Occhi sbarrati, silenzi. Ve lo immaginate il gelo in tante case degli italiani? Per molti sarebbe un dramma. Ma prima o poi vedremo anche questa, e non sarà un brutto giorno, anzi; perché in quella famiglia si starà formando un tecnico che molto probabilmente non conoscerà la disoccupazione, che avrà un buon stipendio e una buona vita. Mica poco nel mondo 4.0, e nel nostro Paese, che unisce le due cifre per dare la dimensione dei giovani senza lavoro: 40 per cento. Intendiamoci, queste scelte già si fanno: poco, troppo poco. E se succede è quasi sempre a parità di livello sociale. Meglio ancora se un passo indietro. Ma se è uno in avanti?
Per chiarire: se a dire "mamma voglio fare l’operaio" non è un ragazzo di estrazione modesta, ma il figlio di un impiegato, di un quadro, di un professionista, del ceto medio e medio alto asfaltato dal cambio dell’euro e da dieci anni di crisi, cresciuti però rispetto agli standard di genitori e nonni? Sarò sincero: se a dirlo fosse stato uno dei miei figli, non sarei stato per nulla contento. Lo avrei considerato un passo indietro. Operaio? Tuta blu, mani unte. Roba che c’è ancora, per carità. Che sta però alla realtà delle imprese, come una capitale dell’Est prima e dopo la caduta del Muro. Oggi, camici bianchi, computer, robot. Allora, è evidente che un paio di anelli della catena occupazionale non funzionano. Le famiglie, la loro cultura, innanzitutto, con ambizioni di crescita sociale che potevano valere vent’anni fa, ma oggi purtroppo anacronistiche, perdenti.
Poi, quale crescita? È cresciuto di più un tecnico da 2.000 euro al mese, o un insegnante da 1.300? E ancora la scuola: pochi istituti professionali e spesso inadeguati. Se ci fosse sul serio una buona scuola, ci sarebbe pure un buon lavoro. Non a caso nascono scuole aziendali che servono azienda e territorio, e che lo Stato dovrebbe supportare. Allora, riscriviamo la scena. "Mamma voglio fare il tecnico". "Bravo figlio mio, ora sono più tranquilla per il tuo futuro".