La guerra del pregiudizio

Nel momento in cui l’accordo per le presidenze delle camere resta lontano - e se mai ci sarà è inevitabile che avvenga solo all’ultimo momento o forse a partita iniziata - in Transatlantico fa discutere l’offerta che Berlusconi ha lanciato ai Cinquestelle: sedetevi e trattiamo. Facendo leva su uno dei punti deboli di Di Maio e soci, ossia la non volontà di intavolare una discussione con quello che Grillo ha sempre definito lo «psiconano».

Remora, quella M5S, obiettivamente poco difendibile: puoi anche rifiutare qualsiasi trattativa con chi non ti piace, ma se hai poi bisogno dei suoi voti allora esponi il fianco alla controffensiva avversaria. Che infatti c’è stata: non a caso il Pd in qualche modo ha prospettato la volontà di rientrare in partita, e tutto pare ricominciare da zero. Berlusconi è riuscito a incunearsi tra Salvini e Di Maio con una spregiudicatezza tattica che invece per il momento il capo stellato non ha mostrato, troppo succube del pregiudizio della propria base verso il Cavaliere. Una guerra di nervi, di logoramento.

E’ venuto al pettine uno dei nodi rimasti irrisolti dopo il 4 marzo: chi diceva di aver «vinto le elezioni», Lega e Cinquestelle, in realtà non aveva vinto, ma solo ottenuto un buon risultato, per i grillini ottimo. Ma in un sistema parlamentare, dove le maggioranze - anche per eleggere i presidenti delle assemblee - si fanno in aula, arrivare primi non basta ad avere la maggioranza. Ricordiamoci che veniamo da decenni di prima repubblica in cui il Pci pur con percentuali altissime, che in diversi casi sfioravano il 30 per cento, ha avuto la Camera solo nel 1976, e che Bettino Craxi è rimasto seduto per anni a palazzo Chigi con il dieci per cento dei voti.