Giovedì 25 Aprile 2024

La corsa al Colle e il gelo del Pd verso il premier

Cosa c’è dietro il malumore

Mario Draghi (Imagoeconomica)

Mario Draghi (Imagoeconomica)

I tre schiaffoni su patrimoniale, licenziamenti e appalti rifilati in pochi giorni da Draghi al Partito democratico scavano un solco tra premier e Nazareno che ogni giorno si allarga. I motivi sono più di uno. Il non avere, da parte del Pd, mai elaborato il lutto per la fine del governo giallorosso, il sentirsi spaesati per l’abbraccio con l’inquietante fantasma dei grillini (a proposito: qualcuno ha notizie di Conte?), l’incapacità di esprimere una linea che detti l’agenda e soprattutto l’esigenza del Nazareno di non far passare per salvatore della patria un uomo, Draghi, che presto potrebbe sbarrare la strada del Quirinale alla folta pattuglia dei pretendenti dem.

Un conto è - in chiave nuovo presidente della Repubblica - arrivare a febbraio con Draghi che ha ben avviato il Recovery salvaguardando la pace sociale e fatto ripartire l’economia senza aver lasciato troppi "morti" sul terreno; un altro con un premier che bene o male ha riacceso lo scontro con i sindacati, ma che vista la debolezza del quadro non può essere toccato, e che in fondo in fondo è un uomo di destra. Nel primo caso l’elezione del successore di Mattarella sarebbe poco più di una formalità, una sorta di corsa a candidato unico; nel secondo, le possibilità per molti piddini e per qualcuno che per sette anni garantisce la sinistra si riaprirebbero.

Tutti calcoli di bottega, anzi di botteghe, che uniti alla paura di restare schiacciati sotto il peso di scelte impopolari come accadde col governo Monti, non aiutano il Nazareno a sciogliere il nodo della propria partecipazione al governo Draghi, inducendolo a rifiutare la parte che per tradizione in genere gli è assegnata, quella della responsabile forza di governo. E che magari all’inizio dell’esecutivo Draghi aveva anche voglia di recitare. Privilegiando invece una scelta testimoniale di valori "de’ sinistra", ideologici, che lo confina in un futuro ipotetico carico di incognite, una sorta di auto-sovranismo identitario fine a se stesso da cui è difficile uscire, alla base dello strano paradosso per cui i dem invece di funzionare da motore del governo attuale sollevano temi per la prossima legislatura: prendono botte sui licenziamenti di cui discute oggi ma parlano di patrimoniale e ius soli che si faranno (forse) domani.

Una parabola, quella del Pd, che indebolisce l’esecutivo, e lo limita a un gioco di piccolo cabotaggio non tanto con gli altri parteners quanto con il premier, da cui peraltro il Pd per adesso è sempre uscito con le ossa rotte. E alla lunga indebolisce anche il Pd. Draghi è stra-primo in tutti i sondaggi, l’uscita dall’emergenza potrebbe ulteriormente rafforzarlo: lasciarlo alla Lega sarebbe l’ultimo suicidio politico da pagare a prezzo carissimo. Quirinale o non Quirinale.