Carissima febbre

Carissima influenza. Febbre alta e tanti dolori. Anche al portafoglio. La sindrome metterà ko cinque milioni di italiani e ci farà spendere qualcosa come 10,7 miliardi di euro. Più o meno la cifra che contano di racimolare Salvini a Di Maio, rischiando anche una procedura di infrazione europea, per reddito di cittadinanza e pensioni a quota 100. Una stangata che vale quasi come una manovra economica, considerando la montagna di giornate di lavoro che si perdono, la produttività che crolla e la spesa per farmaci che sale alle stelle. E al netto, ovviamente, delle tante vittime che ogni anno siamo costretti a contare a causa dell’influenza. Ma quello che più impressiona è la "coazione a ripetere" del nostro Paese di fronte a un’emergenza che scoppia, puntuale e largamente annunciata, fra novembre e dicembre. Eppure, il rimedio ci sarebbe, è disponibile e, in molti casi, o è gratuito o costa pochissimo. Si chiama vaccino, è fortemente consigliato, ha poche controindicazioni e, soprattutto, consentirebbe di risparmiare una montagna di soldi e di evitare vittime e difendere la propria salute. In un mondo razionale dovrebbe essere la regola. Invece è ancora l’eccezione. Sarà colpa della pigrizia di chi rimanda le cure, della scarsa cultura della prevenzione, di una cattiva promozione sanitaria. Ma qualche responsabilità, negli ultimi anni, è sicuramente da attribuire ai tanti movimenti che hanno cavalcato l’ideologia dei "no vax". Come se non bastasse, poi, quest’anno ci si è messa di traverso anche la burocrazia e i soliti ritardi. Il risultato è che negli studi dei medici di famiglia gli scaffali dove di solito si trovano i vaccini sono ancora vuoti. Avrebbero dovuto arrivare già a metà ottobre. Ma, se tutto andrà bene, le consegne saranno effettuate a metà mese. Un ritardo che potrebbe costare ancora più caro: la campagna di immunizzazione funziona solo dopo due settimane. Quando, cioè, potrebbe essere troppo tardi per fermare il picco dell’influenza.