Giovedì 18 Aprile 2024

Troppe tragedie insensate. Abituati a essere irresponsabili

Pare che Stefan Lechner, anni 28, voglia uccidersi. Forse lo farà, prima o poi. Di sicuro, sei giovani tra i 22 e i 23 anni sono morti, 11 sono feriti, alcuni gravi, e dunque altri forse moriranno. La tragedia della valle Aurina, quell’auto che fa una strage come un’auto bomba a Bagdad; quei ragazzi che volano per aria; quei corpi che restano senza vita sull’asfalto; quell’investitore alticcio, Stefan, probabilmente più o meno come tanti l’altra notte nel gelo delle Alpi, che recupera lucidità quando frena, scende, vede con i suoi occhi il bilancio tragico, agghiacciante dell’incidente; tutto ciò suona come una campana a morte di come (troppo) spesso è vissuto il nostro modo di stare alla guida. Un modo in cui l’attenzione è un dettaglio rispetto alla ricerca del canale radio preferito, all’occhiata al cellulare che ha segnalato l’arrivo di un messaggino, alla riposta che vogliamo dare subito, senza aspettare il primo grill; un dettaglio rispetto a quanto abbiamo mangiato e bevuto, tanto, quasi doveroso nei giorni di festa. Come se avessimo già le auto a guida automatica, su rotaia: come fossimo in treno, in aereo dove sono altri a tenere la cloche, il volante. L’abitudine alla irresponsabilità, all’incoscienza. Fino a quando non si centra un gruppo di ragazzi in vacanza, fino a che non si contano i morti, sei: una enormità. Allora si accende la luce della coscienza, fino al desiderio di morire. Legittimo, comprensibile. Troppo tardi, però, Stefan. Come sarebbe troppo tardi per chiunque di noi. La luce va accesa prima, a tavola, al bar, quando si avvia il motore, quando si ingrana la marcia, quando suona il telefonino. Prima che in un attimo tante vite volino via. Anche (prima o poi) quella di chi l’ha tolta agli altri.