Mercoledì 24 Aprile 2024

Il prezzo dell’ingiustizia (e della gogna)

Una settimana fa l’assoluzione definitiva in Cassazione di Maurizio Venafro, storico capo di gabinetto di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio. Due giorni fa l’assoluzione in appello a Napoli di Nicola Cosentino, per anni esponente di primo piano di Forza Italia in Campania. E così, tirata una riga, si potrebbe sostenere che alla fine la giustizia fa il suo corso e funziona. Il problema, però, è proprio in quel concetto: "alla fine funziona". Perché dall’inizio "alla fine" ci sono sei anni per Venafro e nove per Cosentino di condanna preventiva sociale, politica, civile, etica. Anzi, per l’ex sottosegretario all’Economia ci sono "anche" ben quattro anni di carcerazione in attesa di giudizio. 

Il prezzo di questa (in)giustizia, che pure arriva, è, dunque, un prezzo elevatissimo e insopportabile per i diretti interessati, per le loro famiglie, i loro figli, gli amici, la comunità politica alla quale appartengono. Il punto, però, non è tanto o solo relativo alla durata delle inchieste e dei processi e al chi ripagherà gli innocenti "finali" del tempo perduto, delle occasioni mancate, del danno personale, professionale, economico e morale subito.

Il punto, che non può non interrogarci tutti (a cominciare dagli stessi magistrati e da noi giornalisti), è domandarsi come sia possibile che si passi da una condanna certificata mediaticamente con rilievo enorme anche solo in presenza di un avviso di garanzia a un’assoluzione tardiva che trova lo spazio di una breve notizia sul giornale e magari anche niente in tv.

Ora, se le risposte sulla eccessiva durata dei procedimenti e sulle modalità delle indagini rinviano sicuramente alle regole dell’azione e del giudizio penali (malandate per definizione, se questi sono i risultati) e alla loro applicazione, quelle sul circuito mediatico-giudiziario, che trasforma immediatamente un indagato o un accusato eccellente in un colpevole accertato, non possono non farci riflettere, invece, sul veleno giustizialista sversato a fiumi nelle viscere dell’Italia profonda.

E, prima o poi, ci si augura più presto che tardi, si dovrà andare oltre la superfice dell’attuale versione del giustizialismo, quella incarnata dal grillismo di lotta e di governo e dai suoi guru nella stessa magistratura d’assalto e nello stesso giornalismo colpevolista a prescindere.

E, proprio andando oltre, non si potrà fare finta di non vedere che certi garantisti di ritorno di oggi sono stati i primi cattivi maestri del massimalismo giacobino mediatico-giudiziario da Mani Pulite all’avvento degli epigoni stellati.