I deboli sotto tiro

Speriamo che anche in questo non imitiamo gli americani. Con qualche anno di ritardo. Loro di sette ne hanno a migliaia, noi stiamo crescendo. Anche troppo. Le forze dell’ordine vigilano, e i sociologi indagano. Noi cittadini possiamo solo ragionare, e chiederci perché. Abbozzando qualche risposta e scavando un po’ nella memoria.

Ad esempio andando al 1993 quando David Koresh e i suoi adepti, assediati dal Fbi, si suicidarono nel loro bunker in Texas: 80 poveracci, soggiogati, vittime di abusi e violenze da parte del pazzo che li guidava. La setta era nata molto prima, però, nel 1934, all’epoca della grande depressione.

Allora, diciamo che le crisi sono un terreno fertile per attirare le persone in una dimensione alternativa. L’evasione, l’attesa del meglio: come il gioco. Una volta avevamo la schedina e il lotto per coltivare le speranze di ricchezza, e c’era già chi si rovinava. Adesso ogni minuto scommetti su quello che succederà il minuto dopo, e mentre prendi il caffè gratti e speri di vincere. I soldi in tasca non bastano per campare, ma anche la società che ti sta attorno non ti aiuta a stare bene. A cominciare dalla famiglia, sempre più liquida, a volte liquefatta. Era il porto sicuro, ora è spesso una navicella alla deriva.

L’amore, poi, va e viene, come sempre. Quando va, però, molti non lo accettano più: violenza, depressione. Qualcuno ha provato a risollevarsi con i consigli di Wanna Marchi e i sacchetti di sale del mago Do Nascimento, ma ha solo svuotato il conto corrente senza riempire il cuore. Capita anche a quelli che entrano in qualche setta che promette iniezioni di affetto. Se dalle magie virtuali delle televendite si può uscire, anche con le ossa rotte, da quelle reali invece è molto più difficile. Per questo è importante sapere che c’è qualcuno che ti può aiutare: associazioni, forze dell’ordine. E ancora più importante è annusare il pericolo cercando prima di tutto l’antidoto in se stessi. Mica facile di fronte a delusioni, debiti, malattie. Vero. Ma se l’hanno fatto mille generazioni senza Prozac e senza sette, possiamo farlo anche noi. Senza imitare troppo gli americani. Almeno in questo.