La voce del padrone

Beppe Grillo riunisce i parlamentari 5S e manda un pizzino a Conte: qui comando io, se non ti va bene accomodati

Giuseppe Conte e Beppe Grillo (IMAGOECONOMICA)

Giuseppe Conte e Beppe Grillo (IMAGOECONOMICA)

Beppe Grillo scende a Roma, riunisce i parlamentari e ricorda loro una verità semplice, perfino banale: il movimento sono io. Vi ho creati io, senza di me nessuno sarebbe stato qui, se qualcuno di voi è arrivato a fare il ministro, il deputato, il senatore, se veste abiti firmati invece che andare al mercato rionale come faceva prima, se c’è ancora chi lo ferma per strada a chiedergli il selfie, ecco tutto questo lo dovete a me. Difficile dargli torto.

Ma l’obiettivo del Garante che non ha mai garantito niente (i Cinquestelle hanno cambiato idea praticamente su tutto) non erano i parlamentari, anime in pena per il proprio futuro (praticamente tre quarti di loro sa già che tra due anni dovrà trovarsi un lavoro) quanto Giuseppe Conte, il signor nessuno (politicamente) che tre anni fa i grillini scovarono in un affermato studio legale romano e innalzarono al rango di statista. L’obiettivo era lui e le strane idee che si era fatto sul Movimento. "Conte ha bisogno di noi e non noi di lui", ha ricordato Grillo. Anche in questo caso centrando una verità scarna ma piena di senso pratico. Mettendo l’avvocato del popolo con le spalle al muro. "Se vuoi restare con noi resti - è stato il sottotesto - ma togliti la  testa di comandare, qui il capo sono io".

 toni sono stati ruvidi, quelli del padrone verso il sottoposto, quelli del capo azienda nei confronti di un direttore generale, che per quanto dirigente resta un dipendente. Grillo dal canto suo si è visto costretto a usarli perché evidentemente si era reso conto che il Movimento gli stava sfuggendo di mano, perché l’idea di un suo ritiro a vita privata era poco più di una boutade messa lì per schernirsi, perché ha capito che Conte si stava prendendo ciò che non era suo. Ha riportato la chiesa al centro del villaggio, adombrando tra le righe un divorzio con l’avvocato del popolo, che a questo punto assomiglierebbe più che altro a un licenziamento.

Resta da capire se Conte accetterà di fare da prestanome, un finto capo del movimento, a esercitare una delega che un altro graziosamente gli concede, con limiti fissati non da lui. La dignità di un ex premier e di un sedicente capo in pectore direbbero di no. Ma ricordiamoci che Conte finora è stato uomo per molte stagioni, ha governato con Salvini e poi con gli oppositori di Salvini, ha firmato i decreti contro l’immigrazione e poi è andato in tribunale a dire che lui della chiusura dei porti non ne sapeva niente. Non c’è motivo di pensare che anche questa volta non metta la testa sotto la sabbia e compia l’ennesima giravolta.