I nodi irrisolti

La campana dello spread pericolosamente vicino a quota 200 ha suonato ieri mattina allo scoccare dell’81esimo giorno di crisi. E ha fatto premio su tutti i dubbi residui del Colle. A quel punto è stato il giorno di Giuseppe Conte premier incaricato e dell’abbrivo di fatto del governo giallo-verde. Un’accelerazione senza alternative praticabili (se non la corsa al voto anticipato) che lascia irrisolti molteplici nodi e più di un interrogativo sul futuro prossimo venturo: a cominciare, però, da uno molto immediato, la scelta strategica del ministro dell’Economia. La domanda delle domande, a ogni buon conto, è relativa proprio al ruolo del professor Conte. La nomina di un "esterno" (se la definizione di "tecnico" non piace) alla guida di un governo "politico" è, come più volte indicato, un’anomalia tutta italiana e tutta da decifrare nelle conseguenze. Una prima traccia, tuttavia, la offre il diretto interessato. In prima battuta concede un riconoscimento all’Europa ("E’ la nostra collocazione"), ma la formula ha tutto il sapore della clausola di stile a beneficio del Quirinale e di qualche cancelleria d’Oltralpe. La sostanza è, invece, tutta nelle indicazioni successive: essere l’"avvocato difensore del popolo italiano" e degli interessi degli italiani in Europa implica non solo l’adesione compiuta alla visione di chi vede comunque in Bruxelles una controparte ma anche l’individuazione della propria funzione in quella di chi mette la propria scienza giuridica al servizio della causa condivisa nel contratto siglato dalle due forze politiche della neocostituita maggioranza. Così, però, rimane tutta intera la questione posta fin dall’inizio: il professor Conte sarà il premier come lo definisce la Costituzione del nostro Paese o incarnerà l’inedita figura dell’amministratore delegato di una quantomeno orginale governance politica senza precedenti né in Italia né all’estero? La prima uscita pubblica dell’"avvocato" autorizza a pensare che la "sua" premiership, per come l’abbiamo conosciuta fino a oggi nei presidenti del consiglio italiani, è una condizione tutta da costruire. Ma è tutt’altro che detto che il professore ambisca a farlo.