Premier, il nodo al pettine

La trattativa Lega-M5S per la formazione del nuovo governo si sta incartando sul nome del premier. A meno di ventiquattr’ore dalla scadenza del termine indicato al Quirinale (anche se per la verità non si è mai parlato di un ultimatum perentorio), Salvini e Di Maio non hanno raggiunto un’intesa, che peraltro - qualsiasi esito abbia - dovrà passare per Mattarella. Ricordiamo che la nomina del primo ministro è prerogativa diretta del Capo dello Stato (art. 92 della Costituzione) al di là del fatto che esista o meno un agreement tra le forze politiche. 

Lo stallo non era difficile prevedere. Finora la discussione ha quasi aggirato la questione, almeno pubblicamente, perché nella narrazione della politica liquida, quella che stiamo vivendo adesso, parlare di nomi fa tanto "casta" e "poltrone". Meglio dire che si sta ragionando di "programmi" o per essere più moderni ancora, di "contratto". Ma i nomi non sono affatto secondari, specie quello del presidente del consiglio che, sempre secondo la Costituzione (art. 95), dà l’indirizzo politico al governo. Era quindi prevedibile che si arrivasse al dunque. E la stessa individuazione del nome "terzo" non è facile. In particolare se verrà confermata l’idea che i due big, Salvini e Di Maio, possano sedere nell’esecutivo. Un tecnico può anche andar bene se tutta la compagine è tecnica, ma se è politica, e l’accordo tra Lega e M5S è politico, anche il premier deve essere un politico. Altrimenti tutto è destinato a durare poco. L’unica via d’uscita è quindi un compromesso nel compromesso, magari soppesando e contropesando bene la rispettiva presa sull’esecutivo, senza scorciatoie facili che rimanderebbero solo il problema.