L'interesse nazionale

Dopo il voto Matteo Renzi dimettendosi annunciò: "Il posto del Pd in questa legislatura è all’opposizione". Il messaggio era rivolto a un partito che scosso dalla batosta approvò all’unanimità. Poi, ai non convinti intimò: "Chi vuole fare accordi coi 5 Stelle venga a dirlo in direzione". Finora nessuno – a parte il pittoresco Emiliano – ha osato. Non Orlando e nemmeno Franceschini sebbene entrambi nell’assemblea dei gruppi parlamentari abbiano aperto spiragli di dialogo. Contro i pasdaran renziani i due ministri uscenti hanno contestato che sia interesse del Pd e dell’Italia che si formi un governo populista, cioè dominato da Lega e 5 Stelle. In effetti, se questo è il pericolo maggiore che senso ha sperare che diventi realtà? Se l’interesse nazionale è quello di evitare questo esito il Pd deve rendersi disponibile per altre, diverse, soluzioni. Del resto lo stesso Renzi non aveva escluso la disponibilità a un governo istituzionale o del presidente come estremo rimedio al male estremo di nuove elezioni. Ora, la prima ipotesi sul tappeto – quella di una maggioranza dell’intero centrodestra con i 5 Stelle – sembra ormai esclusa dalla dichiarata, conclamata, incompatibilità dei grillini con Berlusconi e Forza Italia. Dunque, salvo che Salvini, incassato il voto alle regionali, decida di spezzare il centrodestra, anche il suo accordo con Di Maio non decollerà. Oltretutto la crisi siriana ha evidenziato tra i due una marcata distanza. Delle circostanze ha approfittato il reggente del Pd, Martina, per proporre un confronto (con chi?) su lavoro, povertà, famiglie. Tanto è bastato per scatenare la reazione dei renziani i quali, peraltro, hanno contestato i tempi e i modi ma non la sostanza di un’iniziativa che ha senso solo dopo una rottura tra Salvini e Di Maio. Insomma, se ne potrà parlare solo dopo e, nel caso, sarà Renzi a farlo. E se Di Maio porrà un veto anche a lui? Prepariamoci a tempi lunghi.