Giovedì 25 Aprile 2024

Convivenza difficile. Due anime diverse

Se il tasso di riformismo si misura "anche" dall’avere "nemici" a sinistra, il governo che nasce, almeno a un primo sguardo, è tutto fuorché un esecutivo riformista. Tra Camera e Senato, forse per la prima volta nella storia della Repubblica, non c’è un solo parlamentare che rappresenti l’opposizione di sinistra. Non è successo né con Romano Prodi né con Massimo D’Alema, per non parlare di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, che a sinistra hanno avuto addirittura un pezzo fuoriuscito dal loro stesso partito. Capita, invece, con Giuseppe Conte: ed è solo uno dei tanti paradossi della stagione politica. In realtà, se consideriamo la squadra di governo in senso stretto, le quote di riformismo europeista sono significative e di spessore. Pensiamo innanzitutto a Roberto Gualtieri, lo "storico" prestato all’economia, di casa a Bruxelles più di qualsiasi altro predecessore a Via XX Settembre, benedetto da Christine Lagarde come da Mario Draghi, più europeista della stessa presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Ma possiamo mettere nel conto anche l’ex premier Gentiloni, in pole come commissario italiano con un portafoglio di peso. Né è da meno Enzo Amendola, giovane riformista del Nazareno, con la delega proprio agli Affari europei.  Il problema, però, è che nella stessa squadra il Pd ha di fatto ceduto alla sinistra grillina e a quella radicale di LeU e dintorni tutta la filiera del welfare e del sociale. Non si tratta di dare un giudizio sulle persone, ma anche in questo caso su quello che rappresentano. E, allora, Roberto Speranza alla Sanità, Nunzia Catalfo al Lavoro, Lorenzo Fioramonti all’Istruzione sono stati tutti fieri avversari, tanto per capirci, del Jobs Act e della Buona scuola. Espressione, insomma, di quel massimalismo che ha ben poco a che vedere con la modernizzazione del Paese. E, dunque, sarà davvero una scommessa vedere come l’anima riformista potrà convivere con quella di sinistra-sinistra.