Giustizia allo sbando e politica inerte

L'ultima puntata del docufilm 'come è ridotta la giustizia in Italia' ha il merito di descrivere quanto uno dei poteri fondamentali dell’ordinamento democratico sia caduto nel suo punto più basso e appaia ormai fuori controllo. Secondo un sondaggio di due giorni fa la maggioranza degli cittadini non si fida dei magistrati. Anche la democrazia è in terapia intensiva. A voler essere ottimisti potremmo ricordare come gli italiani abbiano dato il meglio nei momenti successivi alle peggiori disfatte, basti pensare alla classe dirigente uscita dal fascismo, al boom economico seguito al disastro bellico, financo al calcio, quando dopo lo tsunami Corea, nel ’66, vennero gli europei e poi i mondiali del ’70.

Gli ultimi scandali tra le toghe, passati sostanzialmente senza alcuna conseguenza, ci consegnano però il quadro di un sistema privo degli anticorpi necessari a far maturare una volontà di autoriforma. Il riscatto deve quindi arrivare da fuori, dal parlamento.

E qui casca l’asino. Tanto infatti è arroccata sugli extrapoteri ormai conquistati la magistratura, tanto è debole la politica. L’attuale classe dirigente non pare possedere la forza e in alcuni casi la voglia di intervenire. In parte ricordando che cosa è accaduto a chi qualche riforma ha cercato di farla (citofonare Berlusconi e Renzi), in parte perché una certa politica non ha abbandonato la tentazione di usare le toghe per regolare i propri conti. Salvini fu salvato dalle inchieste finché era alleato e mandato al massacro davanti ai giudici per accuse identiche quando era passato dall’altra parte del fronte.

Eppure la situazione è così grave, così ormai fuori controllo, che una svolta si impone. Non punitiva per nessuno, ma incisiva. Anche se sarà difficile farlo adesso con le amministrative alle porte e i giochi per il Quirinale in pieno svolgimento, la politica non può sfuggire dalla responsabilità storica di un intervento. Il momento è grave, di quelli in cui occorre guardare la luna e non il dito. Se la politica ignora che più di metà del paese diffida di chi per default dovrebbe essere fuori dalla mischia compie un atto di gravissima omissione e di ignavia civile.

Un’impasse da cui si esce solo con una sorta di patto repubblicano, una nuova intesa costituente tra le maggiori forze politiche che ridisegni le regole grazie alle quali la magistratura venga ricondotta all’interno dei confini che un sistema democratico gli assegna. Le cose da fare le sappiamo, e in fin dei conti non sono neppure molte. Dalla riforma del Csm, alla separazione delle carriere, al giusto processo. Serve la visione. Dei liberi e dei forti. I politici forse il coraggio di farla non l’avranno, noi quello di chiederla si.