Generazione rapace

Roma, 24 dicembre 2017 - Ci occupiamo spesso di giovani non solo perché, come usa dire con frase fatta ma incontestabile, sono il nostro futuro, ma anche e soprattutto perché sono il termometro del nostro tempo presente: naturalmente inclini alla dissennatezza, i giovani portano agli eccessi quei fenomeni e quei malesseri che, di epoca in epoca, caratterizzano le società. Osservando i giovani, dunque, si capiscono gli adulti. Redigendo le cronache e studiando le statistiche si ha l’impressione che la criminalità minorile sia in aumento. L’immigrazione c’entra, ma da sola non basta a spiegare il fenomeno. La crisi economica, invece, c’entra ben poco. Ad aumentare sono soprattutto i crimini commessi da ragazzi che provengono da famiglie senza particolari problemi economici. È il “malessere del benessere”. A un’inedita disponibilità di mezzi, di libertà e di tempo, si associa infatti un’apparentemente contraddittoria recrudescenza del malessere giovanile.

MALESSERE che si manifesta nei modi più disparati: l’abuso di alcol e droghe in età sempre più tenera, il normale disagio esistenziale che sempre più assume le forme della patologia psichiatrica, la diffusione crescente di ‘giochi’ che presuppongono il rischio della vita. Tendenze universali ed eterne che attengono alla condizione giovanile in quanto tale, ma che oggi più che mai appaiono in drammatica crescita. Quanto alle statistiche criminali, crescono, nei giovani, i reati sessuali e le violenze individuali, sia verbali sia fisiche. Reati quasi sempre compiuti in gruppo. Reati che presuppongono il disprezzo per la persona. Reati che hanno come scopo ultimo l’umiliazione più che l’appropriazione. Si intravedono, in questo fosco quadro, gli estremi di generazioni rapaci, la cui spinta al crimine, quando si manifesta, risponde essenzialmente a un’esigenza di dominio, a una volontà nichilistica di supremazia assoluta. Sempre meno capaci di gestire il conflitto, i nostri giovani manifestano tassi di aggressività crescente. Un’aggressività fine a se stessa che, e anche questa è una novità, caratterizza ormai, e mai come oggi, anche l’universo femminile.

Crediamo si tratti dell’inesorabile evoluzione di quella ‘disumanizzazione’ dei rapporti sociali e di quell’‘alienazione’ degli individui di cui il filosofo Augusto Del Noce intravide i sintomi sin dagli anni Settanta e che il taglio di ogni radice, la crisi di ogni identità collettiva (politica, religiosa o familiare che sia) e la diffusione della sottocultura social hanno finito per esaltare. Non ci sono più ruoli da contestare, limiti da oltrepassare, valori da sovvertire, idoli da distruggere attraverso ruoli, limiti, valori e idoli nuovi. C’è solo un grande, immenso, spazio di libertà che non sappiamo più come riempire. Non c’è più nulla per cui valga la pena morire. Non c’è, pertanto, più nulla per cui valga la pena vivere. Nulla a parte il nostro ego smisurato e una volontà di potenza che sconfina nel nichilismo. E la colpa di tutto ciò, sia chiaro, non è dei giovani, ma di noi adulti.