Giovedì 25 Aprile 2024

Federer e gli altri, il fascino delle sconfitte

Roger Federer sconfitto a Wimbledon (EPA)

Roger Federer sconfitto a Wimbledon (EPA)

Roma, 15 luglio 2019 - Talvolta, forse, perdere conviene. Roger Federer di sicuro non sarà d’accordo. Eppure, esistono sconfitte talmente intense e immense da rendere indelebile il ricordo del battuto, mica del vincitore. Di sicuro, ancora, Nole Djokovic non sarà d’accordo, ma se ne farà una ragione. Talvolta, forse, perdere conviene. Dorando Pietri, fornaio di Carpi, si sentì morire, letteralmente, sul rettilineo che portava al traguardo della maratona olimpica a Londra, nel 1908. Era in testa, crollò esausto, fu sollevato da giudici impietositi. Vinse, ma non per l’albo d’oro: venne squalificato. In compenso, Artur Conan Doyle, il papà di Sherlock Holmes, stava in tribuna e scrisse un articolo memorabile sulla disavventura del podista emiliano. Alessandra, la Regina, si commosse e regalò a Dorando una coppa gigantesca, oggi conservata nel caveau di una banca di Carpi. Domanda: qualcuno ricorda chi vinse la maratona dei Giochi? Forse solo io: un certo Johnny Hayes, americano di New York...

Eh, Sì. Ci sono sconfitte che rendono immortali e del resto già Omero l’aveva capitò benissimo, Ettore nell’Iliade è il primo perdente consegnato alla eternità della memoria. Peccato non fosse domenica a Wimbledon, il nostro Omero! No, dico. Prendete Kitzbuehel, la pista innevata più famosa al mondo. Buttarsi giù con gli sci sotto i piedi è quasi una pulsione suicida, addirittura un tratto del percorso è denominato ’trappola per topi’, nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi. Ebbene, 1975, discesa di Coppa del Mondo. Favorito assoluto è Franz Klammer, l’Aquila austriaca. L’ho visto gareggiare, un demonio sul ghiaccio, imbattibile nei tanti giorni di vena. Ovviamente Franz vince ma per appena un centesimo di secondo su Gustavo Thoeni, che non era uno specialista del brivido. Un centesimo di secondo di differenza a Kitzbuehel! Ci fecero addirittura un film, non rimasto nella storia del cinema e comunque anche quella volta lì Omero non c’era, certo Gustavo aveva perso ma in realtà per i romantici aveva vinto.

Il fascino della sconfitta che va oltre il recinto della statistica è qualcosa che appartiene alla nostra intimità. Ci viene da dire: anche io, comune mortale, nella vita ho perso, a scuola o in amore o sul lavoro, eppure in realtà sarò ricordato come se ce l’avessi fatta. Ognuno si consola come può, eppure talvolta è davvero così. Mondiali di calcio del 1974, finale tra la Germania dell’Ovest e l’Olanda. Due grandi squadre, fior di campioni in campo. Prevalgono i tedeschi 2-1, danke, eppure quasi mezzo secolo dopo si parla ancora della Arancia Meccanica, di Johann Cruijff, il Profeta del Gol in un documentario di Sandro Ciotti, lui, il Tulipano Volante, l’uomo che cambiò per sempre l’idea stessa del pallone. Alzò la Coppa? No, quella la sollevò il nemico Franz Beckenbauer, un altro grandissimo. Ma chi ha vinto, alla fine? E chi se lo scorda il Toro dei 50 punti (su 60 disponibili) ‘solo’ secondo in serie A a maggio del 1977, perché ovviamente la Juventus ne fece 51? Gigi Radice, il mister dei granata, se ne uscì con una frase che sarebbe piaciuta forse anche ad Omero oltre che a Gian Paolo Ormezzano: meglio secondi che bianconeri. Ah, lo struggimento dei nobili perdenti! Raymond Poulidor correva in bicicletta e andava forte, al Tour fu in strada per quasi vent’anni, spesso sali’ sul podio a Parigi ma mai, nemmeno per un giorno!, vestì la maglia gialla. I suoi connazionali francesi però lo venerano ancora oggi che ha più di ottanta primavere sul groppone: perché nella Sconfitta, appunto, era un gigante. Avesse vinto, lo avrebbero amato di meno.

E alzi la mano chi, avendo l’età per rammentare, non si commuove ancora e sempre per Franco Bitossi, superato all’ultimissimo metro sul traguardo iridato di Gap, nel 1972. Marino Basso gli bruciò l’anima allo sprint e fece il suo dovere, però l’agonia atroce e sublime di Bitossi ti rimane addosso, te la senti dentro. Perché siamo esseri umani e in fondo lo sappiamo da subito: è nel dolore che si vede la grandezza autentica. Nello sport come nella vita.