Giovedì 18 Aprile 2024

Parigi e noi, le pugnalate nella schiena

Una storia di litigi iniziata nel Medioevo. Per i cugini d’Oltralpe siamo pigri e cialtroni

Angela Merkel e Nicolas Sarkozy

Angela Merkel e Nicolas Sarkozy

Parigi, 7 giugno 2019 - Fu dal medioevo che gli italiani cominciarono a non goder più delle simpatie dei fratelli latini d’Oltralpe. Usi a pagar le ‘decime’, vale a dire le tasse ecclesiastiche, i francesi si vedevano taglieggiati dai banchieri pontifici che ne appaltavano la riscossione: e che erano toscani o italo-settentrionali. Da qui l’uso, in francese, delle parole florentin o lombard come sinonimo di "strozzino", "usuraio".  Ma di lì a poco, a partire dal Cinque-Seicento, francesi, spagnoli e austrotedeschi divennero le potenze egemoni di un’Italia ancora lontana dal concepire l’unità nazionale. Erano i padroni: e la gente non ama i padroni. Quando, nel Settecento, prima i sovrani della dinastia borbonica quindi i rivoluzionari giacobini occuparono e sottomisero gran parte della penisola, un certo sentimento antifrancese andò sempre più precisandosi. Vittorio Alfieri, aristocratico e libertario che non amava i re, tanto meno amava le pretese egalitarie e l’arroganza di fatto: il suo poema Misogallo ("L’odiatore dei francesi"), che pure si guarda bene dall’essere la sua opera migliore, divenne presto popolarissimo nell’Italia egemonizzata da un generale francese ch’era però un còrso, nato forse cittadino genovese e da un’antica famiglia toscana. 

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Non c'è dubbio che l’esperienza bonapartistico-napoleonica abbia fortemente contribuito a radicare in Italia un sentimento patriottico inizialmente nutrito anche di valori cattolici e antigiacobini (le celebri "insorgenze" antifrancesi, la "Santa Fede" italomeridionale e così via, imparentate con il movimento vandeano e con la resistenza antifrancese in Spagna); tuttavia essa si sviluppò in seguito secondo istanze liberali mutuate dal mondo francese e da quello britannico. Ma la Francia di Napoleone III, che appoggiò il Piemonte sabaudo alleandosi con esso nella guerra del 1859 contro l’Austria, era stata ormai riguadagnata solidamente alla causa cattolica, quindi alla difesa del potere temporale della Chiesa, e al movimento patriottico italiano guardò all’indomani della pace di Villafranca con sospetto. Al tempo stesso, per i francesi la penisola italica era abitata – come si espresse il poeta Alphonse Lamartine – da "un popolo di morti"; e la rottura dall’amicizia con la Francia del Secondo Impero venne semmai sostituita nella penisola (soprattutto in Sicilia) da un forte e radicato spirito filoinglese che si era già affermato del resto nel tardo Settecento. 

Al rancore italiano per la "sorella latina" che sembrava aver tradito quel Risorgimento al quale aveva dato iniziale impulso, i francesi risposero con un crescente disprezzo per gli italiani sempre più spesso giudicati ignoranti, trasandati, malavitosi, bugiardi, vili. 

Fu anche per questo che nel 1881 il governo francese, dopo aver proposto a quello italiano una comune campagna per invadere la Tunisia, strapparla alla legittima sovranità ottomana e spartirsela come area coloniale, preferì poi agire da solo: e l’Italia, frustrata, si rifugiò nella Triplice Alleanza con Germania e Austria salvo tradirla nel 1915 per scendere in guerra al fianco della Gran Bretagna e della Francia stessa, in cambio di sostanziose promesse di espansione territoriale al nordest che tuttavia – a guerra finita – fu proprio la Francia di Clemenceau a contestarci. 

Due ‘pugnalate alla schiena’ da parte della Francia nei confronti della ‘sorella latina’, nel 1881 e nel 1919, che si replicarono – almeno secondo la propaganda fascista che ebbe comunque nell’opinione pubblica italiana un vasto consenso – quando nel 1935 il governo francese fu in primissima linea nell’esigere che l’Italia fosse colpita, in seguito all’aggressione all’Etiopia, dalle sanzioni economiche le quali avrebbero avuto l’effetto di spingerla all’alleanza con la Germania nazista. E in Francia si parlò di "pugnalata alla schiena" quando, nel giugno del ’40, l’Italia dichiarò guerra alla ‘sorella latina’ ormai in ginocchio dinanzi alle armate di Hitler.  I francesi amano l’Italia, che riconoscono bellissima, ma trovano gli italiani – i macaronìs – dei simpatici cialtroni, pigri, indisciplinati, un pochino vili e scansafatiche: per molto tempo hanno deriso prima Craxi, quindi Berlusconi, poi Renzi e ora la coppia Salvini-Di Maio sottolineandone la vanagloria e l’incompetenza. 

Gli italiani amano la Francia, che riconoscono splendida, ma giudicano i francesi – che per molto tempo hanno chiamato "galletti" – altezzosi, vanitosi e bugiardi. Sono pregiudizi generici, senza dubbio: che tuttavia spesso riemergono. Come quando, a causa di recenti disavventure politiche, dalla penisola si è levato un coro di critiche e di canzonature nei confronti della vera o supposta incapacità di leader francesi come Sarkozy, Hollande e Macron, giudicati tanto arroganti quanto falliti o incapaci. Non si tratta di valutazioni né eque, né serie. Si tratta di pregiudizi e di luoghi comuni: chi li esprime lo sa benissimo. Tuttavia, le agrodolci relazioni tra le due ‘sorelle latine’ proseguono: con una sfumatura più pronunziata di disprezzo da parte dei francesi nei confronti degli italiani, di antipatia da parte di questi nei confronti di quelli. È in gran parte innocuo folklore: ma in tempi di violenza e bullismo crescenti, in tempi di eclisse della solidarietà europeistica, non si sa mai. Le pianticelle dell’odio o del rancore, se lasciate crescere, non danno che frutti amari.