Lunedì 22 Aprile 2024

La strategia dello struzzo

Se i numeri hanno ancora un senso, perdere i tre quarti dei voti, in meno di undici mesi, farebbe accapponare la pelle a qualsiasi leader politico. Invece, Luigi Di Maio si presenta con il suo aplomb tra il superficiale e lo sfrontato e fa finta di niente. Anzi, si mostra addirittura soddisfatto sostenendo che i grillini entrano per la prima volta nel consiglio regionale della Sardegna. E poco importa che, meno di un anno fa, fossero sopra il 40 per cento e oggi sono intorno al dieci.

È verosimile pensare che sia tutta una sceneggiata e che, dentro il Movimento, la botta sarda, dopo quella abruzzese, abbia prodotto un vero terremoto che ha scosso dalle fondamenta le fragili strutture di un’organizzazione instabile. Ma certo, per il vicepremier, non è un indice di serietà e di consapevolezza far finta di niente: non è neanche quel far buon viso a cattivo gioco che in mille occasioni può aiutare a tirarsi fuori d’impaccio.

Non lo è perché, di fronte a un tracollo disastroso e clamoroso come quello della Sardegna, ci si sarebbe aspettati un’ammissione di responsabilità con annesso annuncio, se non di dimissioni, quantomeno di verifica interna sul proprio operato. E invece, come non avrebbe fatto neanche un doroteo di quinta fila della Prima Repubblica, Di Maio fa come lo struzzo e mette la testa sotto dieci (per rimanere alla percentuale ottenuta) metri di sabbia.

Ma, al di là del comportamento del capo grillino, conta il trend del consenso per il Movimento. E non c’è bisogno di scomodare analisti sofisticati per giungere alla conclusione che, in questi nove mesi di governo, i grillini hanno finito per scontentare tanto gli estremisti del Movimento quanto gli elettori moderati che avevano puntato sul ruolo di mediatore dello stesso Di Maio. E, in questo senso, quel che più rileva considerare è che, da un lato, il cavallo di battaglia del reddito di cittadinanza è di fatto fermo al palo e non produce consenso neanche in due regioni nelle quali la disoccupazione è elevata e che, dall’altro, lo stop alla Tav, tanto più in una fase di recessione, viene percepito come ostacolo alla crescita e come un inaccettabile fattore di implosione del Paese. Peccato, però, che l’analisi sia bandita dalla piattaforma Rousseau.