Sì, lo sappiamo, stiamo parlando di una strana alleanza nata più per bisogno che per amore, ma al termine di questi due mesi di risse continue la vera domanda è quante scorie tossiche allignino ancora in giro nei corridoi di palazzo Chigi e se l’eterna legge della necessità potrà sanare le ferite aperte dai duelli rusticani tra i gemelli diversi Salvini-Di Maio. In politica si può infatti dire tutto, a patto però di non crederci. Regola aurea che invece leghisti e grillini hanno infranto, dando troppo spesso l’idea di essere sinceri quando si sono presi a schiaffoni, quasi non aspettassero altro.
Lo scontro tra Conte e Giorgetti, il sostanziale fallimento del Cdm di ieri, sono gli ultimi di una serie di episodi che farebbero pensare a una sicura rottura ma abbiamo visto molte campagne elettorali, anche aspre, ricomporsi magicamente. E saranno solo gli elettori, domenica prossima, a dirci se la dialettica intensa sarà stata una preterintenzionale prova di divorzio, come quei coniugi che di fronte alle prime difficoltà decidono di dormire «una sera o due» sul divano e poi scoprono che sul divano non si dorme poi così male, oppure solo una sorta di stress-test in cui si registrano i motori e si riparte.
Magari con nuove consapevolezze, tipo quella dei grillini che solo adesso hanno capito l’errore di aver lasciato troppo spazio a Salvini nei primi mesi di governo. Con una Lega sotto il 30 e un M5S distante al massimo 5/6 punti i cocci verranno in qualche modo riappiccicati in nome dei reciproci interessi; nell’evenienza invece di uno scollamento molto più marcato, le urne a ottobre sono la realtà più probabile.
A quel punto a troppi degli attori in campo converrà il voto. A Salvini, che potrebbe consolidare la propria leadership, a una Forza Italia ormai rassegnata a fare il decisivo passo verso il futuro senza Berlusconi, a Giorgia Meloni che tornerebbe in gioco mentre adesso sta all’opposizione, a Zingaretti che liquiderebbe senatori e deputati renziani, allo stesso Renzi che ancora controlla i gruppi parlamentari Pd e potrebbe decidere la vagheggiata rentrée, lui o un altro del campo liberal-riformista tipo Calenda, e infine anche al Quirinale, preoccupato altrimenti per una supermanovra da portare in fondo in un quadro instabile.