Elezioni amministrative, i sassolini di Pollicino

SONO UN PO’ come i sassolini che Pollicino lasciava dietro di sé per trovare la strada di casa. In Molise il 22 aprile, in Friuli-Venezia Giulia il 29, in 797 comuni il 10 giugno. Appuntamenti elettorali seminati nelle prossime settimane con il consueto, demenziale e dispendioso disordine, ma che ora sembrano fatti apposta per accompagnare, o guidare la formazione (lenta) di un nuovo governo. Per dare indicazioni, o per verificare la solidità di eventuali, neonate alleanze. Insomma, una manna nel cielo buio e tempestoso del dopo 4 marzo. Tutto farà brodo. Persino le regionali molisane, sia detto con tutto il rispetto per quella bellissima popolazione, ma non certo per un ente nato per germinazione clientelare nel 1963, con 314mila abitanti, pari esattamente a quelli del VII municipio di Roma, o meno di quelli di città medie come Firenze o Bologna. E poi si parla di costi della politica! Chiusa parentesi. Intanto ci sarà da verificare se l’elettorato è così liquido com’è apparso nelle ultime consultazioni: partiti che triplicano, quadruplicano, altri che tendono a zero in un battere di ciglia. Un test credibile che porterà alle urne solo per le comunali più di 7 milioni di persone.

L’impressione è che per ora il magma si sia consolidato, se è vero che le previsioni danno in Friuli la vittoria del centrodestra a guida leghista, e in Molise il successo grillino, con una doppia sconfitta Pd. Come nel film elettorale di un mese fa. Anche le conferme, però, avranno un valore. Eccome. Renderanno ad esempio più forte chi già forte è. E viceversa. O magari queste forze e queste debolezze si annulleranno, inducendo tutti a fare un passo indietro per dare vita a un governo ‘neutro’. Se questo non basterà, nessuna fretta: ci saranno le amministrative di giugno con tanti capoluoghi in ballo, e città simbolo, tipo Siena, per la prima volta alle urne con il Monte statalizzato e non più a gestione ‘famigliare’. Verifiche, sassolini che potranno guidare i partiti a Palazzo Chigi. O almeno fino al Quirinale, per mettere carte vere e non truccate nelle mani di Mattarella.