Giovedì 18 Aprile 2024

Offensiva anti spreco

Usa e non getta. Sarebbe l’ora. Il mondo ai tempi della crisi guarda indietro e scopre che certe cose non erano poi così male, da buttare, e possono servire pure per guardare avanti. Le cose fatte per durare, ad esempio, o almeno per durare un po’ di più. Perché adesso tutto è costruito per finire. Presto. Se compri un tostapane o un aspirapolvere non chiedi più quanto costa, ma quanto dura. Fuori sono uguali, dentro hanno un timer. In America succede così anche per le case, come si vede dopo i tifoni: cataste di legno e non cumuli di mattoni. Intendiamoci: siamo solo all’inizio. Ma è quasi commovente che su questo fronte l’Europa che misura il Pil e il diametro delle zucchine abbia dato segnali positivi: un impulso che va stranamente nel senso degli interessi della gente. Che si era abituata a comprare e buttare, comprare e buttare... senza sosta, in modo compulsivo. Perché questo offre il mercato, che sforna sempre una serie nuova di qualunque cosa, poche mesi dopo aver messo in vendita la precedente novità. Il tutto ovviamente non aggiustabile: «A ripararlo spende 10, a comperarlo nuovo solo 8». 

Un ricambio continuo che asseconda pure la nostra bulimia da shopping. Fino a quando non ci siamo accorti che i soldi non bastano più, che gli armadi sono già pieni, che il cellulare di ultima generazione è praticamente uguale a quello di penultima. Allora sono ricomparse le botteghe dove si rammenda, i negozietti di periferia che hanno addirittura qualche pezzo di ricambio, l’arrotino che passa sotto casa con l’Ape. È rinata la necessità di riparare. Di conservare al meglio. Di far durare. Una cura e una cultura che la generazione uscita dalla guerra ha conservato negli anni del benessere, e che noi non siamo riusciti a metabolizzare. Ora si prova timidamente a voltare pagina. Bene. Sono queste le contro-rivoluzioni del terzo millennio. Contro gli sprechi del secondo. Che il mondo sta con grande fatica cercando di riparare.