E alla fine più dell'ideale poté la poltrona

Cinque stelle verso la scissione

E' proprio vero, la storia spesso si ripete, ma quando accade la tragedia si trasforma sempre in farsa. Così quanto sta capitando ai Cinquestelle è la riproposizione delle innumerevoli scissioni viste alla fine della Prima Repubblica, da quella del Pci e quella della Dc, senza però la grandezza sia pur decadente, le lacrime e i drammi umani degli ultimi epigoni della stagione della miglior politica nella vita repubblicana. Qui siamo alla farsa, alla sit-com da tv del pomeriggio, e c’è solo da riflettere su quanto l’abbiamo scampata bella ad aver lasciato il Paese nelle mani di questi personaggi nella fase più delicata della nostra storia recente.

La fase attuale ricorda le scissioni del passato e come al solito la disputa su quanto resta del Movimento Cinquestelle, il simbolo, i voti, la piattaforma (una volta sarebbe stata la sede), si combatte a colpi di codicilli. Solo che – ecco la farsa – la disputa è intorno allo statuto per un partito del non-statuto, a colpi di posizionamenti politicisti per coloro che hanno prosperato a botte di antipolitica, il tutto sullo sfondo della mera conservazione del "posto" da parte di gente andata lì con la promessa di fare due giri di giostra e tornare al lavoro di prima. Salvo il fatto che la maggior parte di loro quel lavoro non l’aveva.

È però una farsa costosa, come sempre accade quando si usa la scena pubblica senza averne i mezzi e la statura. Costosa per il Paese, perché l’implosione del partito di maggioranza relativa non potrà non avere pesanti ricadute sul sistema paese. E costosa anche per i protagonisti. Grillo è un comico, ma i comici che si mettono a fare politica un po’ l’azzeccano con le loro continue strambate ma alla fine anche no, e non può pretendere che la gente ancora gli creda dopo che si è messo a dare dell’incapace all’uomo che lui stesso ha messo per due volte alla guida del governo; Conte da parte sua non può pensare che i sondaggi di opinione fatti sulla scorta della popolarità di quando appariva alle otto della sera a un’Italia impaurita per il Covid si trasformino in voti per un progetto politico che nasce su un niente programmatico. Un conto è la politica nell’era della post-ideologia, un altro conto è il vuoto.

È educato, è rassicurante, parla bene l’inglese, va bene, ma poi? Era quello che chiudeva i porti con Salvini o l’alleato del Letta dello ius soli? È l’uomo della Via della Seta o Giuseppi amico degli americani? Ora la musica per lui cambia, senza più il controllo della Rai, dei servizi e delle molte leve di cui il potere è fatto. Lui lo sa, ma quando uno ha iniziato a pensare a se stesso come a una via di mezzo tra De Gaspeti e Churchill non c’è più modo di fermarsi.