Martedì 16 Aprile 2024

Moloch da abbattere

LA FUORIUSCITA verso la pensione di un milione di dipendenti pubblici nei prossimi 9-10 anni potrebbe rivelarsi addirittura un’opportunità. Se ben gestita dalla politica e, dunque, dai governi presenti e futuri. Mentre non ci illudiamo che possano fare altrettanto i sindacati, che da anni lamentano più o meno esclusivamente il blocco del turnover e possiamo immaginare quale allarme sui servizi a rischio potranno lanciare di fronte agli esodi a venire. Ebbene, diciamolo come va detto. Il pensionamento di quel milione e passa di lavoratori, al di là dei meriti dei singoli (che non tocca a noi valutare), è in realtà la fine di un’epoca: quella delle infornate di massa, concorsuali o, come anche è accaduto, ope legis , degli anni Settanta-Ottanta. La fine dell’ampliamento a dismisura delle cosiddette piante organiche, per infilare dentro un ufficio, dietro una scrivania o uno sportello, quanta più gente possibile, senza un disegno – questo sì organico – sui compiti reali da svolgere. Tant’è che spesso e volentieri prima si ipotizzavano le platee da «sistemare» e poi si segnavano i numeri conseguenti nei bandi di selezione.

INSOMMA, possiamo metterla come vogliamo, ma la Pubblica amministrazione (che vuol dire principalmente scuola, sanità, regioni e comuni) è stata per i baby boomers , la generazione dei nati negli anni Cinquanta e fino a metà dei Sessanta, la grande occasione del posto fisso a vita. Un’occasione, aggiungiamo, ampiamente messa a carico del debito pubblico e, dunque, delle generazioni future. Non ci sembra, allora, appropriato e utile replicare. Se dobbiamo riaprire alle assunzioni nel pubblico, lo dobbiamo fare – con rigore e criterio - non per risolvere la disoccupazione giovanile a colpi di immissioni di massa, ma per migliorare i servizi. Dobbiamo reclutare per il futuro e non per il passato.