Le scuse di Di Maio e la politica della memoria corta

Sentire Luigi Di Maio che chiede scusa per gli attacchi lanciati a suo tempo all’ex sindaco di Lodi, Uggetti, è come ascoltare il papa che domanda perdono per aver detto che Gesù Cristo è risorto. Il giustizialismo manettaro è stato il vero e proprio karma della narrazione grillina, cardine sul quale si appoggiava tutto il resto, dal populismo anticasta, alla lotta ai poteri forti. È stato il grimaldello sul quale ha fatto leva la grande operazione di sostituzione di classe dirigente messa in atto dai Cinquestelle. Renzi, per dire, fece forza sulla “rottamazione”, Grillo sull’onesta’-sta’-sta’. 

La virata di Di Maio è quindi assolutamente non credibile, e va inquadrata semmai nella parabola di riposizionamento di un personaggio, Di Maio appunto, che evidentemente cerca altre sponde di approdo rispetto a quelle di consueto percorse dai Cinquestelle. Denota una indipendenza di pensiero e di azione da quel che resta del Movimento, allarga il fossato da Conte e dal suo fantasma, e dipinge una politica che vive nell’effimero di una memoria cortissima. Come se con uno “scusa” si potesse fare reset su anni di battaglie. Quando la politica era una cosa più seria di quella di adesso, Di Maio sarebbe stato preso per matto ed espulso dal partito di appartenenza. Ma oggi la politica è un post su Instagram, durano un giorno e poi nessuno più si ricorda di niente.