Dibba e le sirene talebane

Dopo Conte, Di Battista conferma: "Con i talebani si parla". Niente di nuovo, l'ala movimentista dei grillini aveva avuto parole buone anche per Castro e Maduro. Ma ora con i cinesi di mezzo le cose cambiano: l'Italia sta da un'altra parte

Alessandro Di Battista (ANSA)

Alessandro Di Battista (ANSA)

Se qualcuno dubitava del senso delle parole di Giuseppe Conte sul "dialogo" con i talebani, ecco arrivare Alessandro Di Battista a chiarire tutto. La voce della "pancia" Cinquestelle, fuori dal Movimento ma non dal cuore dei grillini, spiega che adesso serve "parlare con i talebani". Dire "parlare con i talebani" è una banalità, tutti in guerra parlano con tutti, anche i partigiani incontrarono Mussolini il 25 aprile nel duomo di Milano e poi tre giorni dopo lo fecero fuori. Ma dirlo adesso, dopo le polemiche per le dichiarazioni di Conte, è un segnale che va oltre il valore intrinseco delle parole. E significa dar voce a quel mondo che i Cinquestelle hanno sempre rappresentato, fatto di pulsioni terzomondiste, pacifiste, chaviste, castriste, antimperialiste e in definitiva antiamericane e antieuropeiste.

Gli esempi sono innumerevoli, e ricordiamo le prese di posizione a favore di Maduro, del regime de L’Avana, del movimentismo dei gillet gialli francesi, contro l’euro. Posizioni che allignavano nella nebulosa grillina mimetizzandosi nel patchwork ideologico che è stato il tutto-un-po’ del movimento Cinquestelle, e cui in tanti non avevano prestato la dovuta attenzione. Niente di particolarmente originale, per carità, e bastava andare a una delle tante manifestazioni della sinistra-sinistra o leggere Il Manifesto per sentire gli stessi slogan.

Il punto è che certe tesi hanno assunto un diverso peso sia quando i grillini hanno cominciato a frequentare le stanze che contano (a dire il vero Di Maio ha fiutato l’aria e subito cambiato registro) sia quando in questa nuova fase della politica mondiale si sono affacciati prepotentemente dalle nostre parti player prima meno conosciuti, uno su tutti la Cina, che hanno iniziato a giocare di sponda con chi stava al loro gioco. L’antiamericanismo, l’antieuropeismo non sono più quindi slogan nei cortei dei centri sociali o nei salotti dei radical chic, ma precise ipotesi di lavoro comune. Legittime, per carità, se non per il fatto che contrastano con il quadro di alleanze atlantiche che l’Italia ha scelto o con i riferimenti europei che peraltro sono anche in Costituzione.

Possono essere un Conte che nessuno ha eletto o un Di Battista che è fuori dal parlamento a farci saltare il fosso?