Venerdì 19 Aprile 2024

Grillismo sindacale

Le reazioni suscitate dal cosiddetto decreto Dignità ci aiutano a capire che non dobbiamo aspettarci una sinistra politica e sindacale intenzionata a opporsi alle nuove politiche del lavoro di conio grillino. Infatti le uniche critiche – ancorché felpate – al decreto di Di Maio, sono venute da Matteo Salvini e dalla Lega, più sensibile alle esigenze delle imprese nelle aree del Paese in cui raccoglie un grande consenso. Il giovane ministro e vicepremier grillino non è ancora capace di orientarsi nella sua materia. Ha proclamato urbi et orbi di aver sferrato un colpo mortale al Jobs act, quando la disciplina dei contratti a termine non fa parte di quel blocco normativo (una legge di delega e ben otto decreti delegati), ma è frutto del decreto Poletti del 2014. L’istituto del rapporto a tempo determinato – che aveva incontrato il favore delle imprese e contribuito a sbloccare il mercato del lavoro – subisce un netto peggioramento, dal momento che – al di là della riduzione del termine massimo da 36 a 24 mesi – la sua liberalizzazione (quando il datore di lavoro è esonerato dal dar conto delle esigenze che ne giustificano il ricorso) si limita al primo contratto, dopo il quale subentra l’obbligo di fornire delle motivazioni (accertabili in giudizio e perciò fonte di contenzioso a posteriori) che – guarda caso – sono le stesse indicate nell’articolo 50 della tanto sbandierata Carta dei diritti presentata dalla Cgil in risposta al Jobs act. Sarà per questa ragione che dalla Confederazione di Corso Italia trapela – malcelato – un senso di soddisfazione. Si profila, dunque, un futuro di relazioni cordiali tra la Cgil e l’ala grillina del governo per quanto riguarda il diritto del lavoro. Mentre sul versante delle pensioni – sarà più arduo – ma il sindacato di Susanna Camusso dovrà compiere qualche giro di valzer con la Lega che tornerà ad essere ritenuta una ‘costola della sinistra’. Ma anche il Pd si troverà in imbarazzo. Nella storia, quando la cultura riformista viene sconfitta, nella sinistra tornano a prevalere scelte conservatrici. Potremmo chiamarlo ‘effetto Corbyn’. Vi siete chiesti perché il Pd non si è ancora interrogato sui motivi della sequela di sconfitte subite? La verità è che teme di dover sconfessare se stesso e le sue politiche.