Giovedì 25 Aprile 2024

Dazi Usa, un no al Dragone egemone

Il presidente Trump firma il provvedimento per i dazi alla Cina (Ansa)

Il presidente Trump firma il provvedimento per i dazi alla Cina (Ansa)

Ora Trump fa sul serio. I dazi sull’acciaio e l’alluminio potevano essere considerati simbolici. Quelli annunciati ieri sono più pesanti. Investono settori importanti come l’elettronica, l’abbigliamento, le calzature. E si combinano con restrizioni sugli investimenti. Ma a differenza dei primi, questa volta l’obiettivo è uno solo: la Cina, vale a dire il Paese che 17 anni fa il democratico Bill Clinton e l’Europa allora socialista fecero entrare nella World Trade Organization. Un suicidio. In circa un decennio molte piccole e medie imprese in America e in Europa uscirono dal mercato. Non potevano competere con un costo del lavoro sette volte inferiore. Una benedizione, invece, per le multinazionali americane. Le quali non a caso hanno appoggiato la campagna elettorale di Hillary Clinton e ora si proclamano paladine del mercato libero. Come fa anche il regime cinese che incarna il paradosso di un’economia di mercato calata in una camicia di forza illiberale. Ma chi bolla Trump come un protezionista dimentica un concetto essenziale: le regole del gioco debbono essere uguali per tutti. Così non è. Non per la Cina. Alla sistematica violazione degli standard minimi sul lavoro si unisce il «furto di tecnologia e segreti commerciali che hanno comportato la perdita di milioni di posti di lavoro». A sua volta però Trump dimentica un’altra cosa. Il know how non sempre ci è stato rubato. Talvolta l’abbiamo regalato noi occidentali, accettando joint ventures che hanno smesso di esistere non appena la parte cinese si è resa indipendente. Conclusione: interi comparti industriali sono irrecuperabilmente perduti. Forse quella di Trump è una battaglia di retroguardia. Ma è almeno un tentativo di difesa, nella consapevolezza che la Cina aspira all’egemonia mondiale. E non solo in economia.

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