Mercoledì 24 Aprile 2024

Coronavirus, il tempo si è dilatato. Usiamolo bene

Il tempo, caspita. Corre sempre veloce. Troppo. Non si riesce mai a fare quello che vorremmo. Non ci basta mai. Il tempo. Eppure ora sono qui, fermo in fila, fuori dal supermercato. Se me lo avessero raccontato non ci avrei mai creduto. Invece eccomi qui. Eccoci qui. Tutti ordinatamente in fila. Manco fossimo dei giapponesi, da sempre abituati a rispettare le code. Alle poste, come al teatro. Eppure è proprio così. Ordinati e in silenzio. Ognuno con la sua mascherina e i guanti alle mani. In silenzio. Giovani, adulti e diversamente giovani.

La ragazza davanti a me si è seduta su uno dei ‘panettoni’ del parcheggio. A cento metri ha riconosciuto una coppia di anziani. Non può avvicinarsi, non vuole urlare. Estrae il cellulare dalla borsa e chiama. ‘Come stai? Che devi prendere? Da quanto sei in fila?’ È una raffica di domande, manco fosse ‘mitraglia’ Mentana. Intorno il silenzio, solo il brusio del grande gruppo elettrogeno e il ‘canto’ di qualche passerotto. Un silenzio rotto solo dal tacchettio dei passi di un nuovo arrivato. Che, ordinatamente, si mette in coda dietro all’ultimo della fila. In silenzio, naturalmente.

Il tempo, caspita, si è dilatato. All’improvviso. Chissà cosa pensa la signora in fila dietro di me. Ha i gomiti appoggiati sul carrello. In mano tiene il telefonino, senza compulsarlo ossessivamente. Il tempo non le manca. Non ci manca. Siamo qui, in fila. In attesa del nostro turno. Ora ha le braccia conserte, lo sguardo fisso davanti a sé. Chissà cosa pensa. Nei suoi occhi si intravede il film delle sue speranze, dei suoi sogni, dei suoi progetti. Sino a qualche settimana fa erano un frame più veloce di una serie televisiva americana, ora sembra il replay della ‘Domenica sportiva’ di Paolo Valenti. Il tempo si è fermato, all’improvviso. La fila ha preso a muoversi verso la porta d’ingresso. La vediamo, là in fondo. Chissà se è la stessa visione di un’oasi sotto il sole del deserto. Di solito a quest’ora siamo già a tavola oppure al caffè. E, invece, siamo qui come disciplinati soldatini giapponesi. Ognuno preso dai sui pensieri. Barlumi di sogni che ci fanno uscire alla ricerca di una normalità che abbiamo perduto e che forse non avremo più. Chissà.

I nostri paradigmi sono stati rovesciati all’improvviso da un virus che non riusciamo a vedere e che pure è qui in mezzo a noi. Si è preso le nostre vite, ma non il nostro tempo. Quello, a ben guardare, ce lo siamo ripresi noi. Non c’è più quella fretta che avevamo. Quella corsa a perdifiato che erano le nostre giornate. Prima.

Ora siamo qui, in fila. Avvolti nel nostro silenzio. Non abbiamo più scuse. Non solo con gli altri. Ma prima di tutto con noi stessi. Il tempo è nostro. Non sprechiamolo più. Sicuramente domani saremo migliori.