Martedì 23 Aprile 2024

Il lockdown dell'ultimo giapponese

Abbiamo messo sotto chiave il Paese e adesso ci accorgiamo che il lockdown è stato probabilmente un gigantesco errore. Un abbaglio, un cedimento di sovranità della politica al mainstream scientista e insieme un atto di sfiducia nella capacità degli italiani di mettere in pratica limitazioni di comportamenti che comunque conservassero una qualche forma di agibilità per la vita quotidiana, e quindi per l’economia e le relazioni sociali. Una cosa alla tedesca, tanto per capirci.  La gravità dell’abbaglio ce la sta raccontando non tanto l’outing dei primi politici disposti a battersi il petto, quanto la lentezza della ripresa che tutti abbiamo davanti agli occhi. Il pronti-attenti-via che speravamo di vedere dopo il 18 maggio, poi il 3 giugno, non c’è stato. Siamo ancora nel pantano, e chissà quanto ancora ci resteremo. L’Italia è stremata da tre mesi di divieti ferrei, delle tante leggi marziali che i mille piccoli caudilli di provincia (e di regione) si sono visti autorizzati a instaurare, per cui era più bravo chi vietava di più. Siamo ancora sotto schiaffo di regole da stato di polizia, di un clima di terrore per cui se ti avvicini a qualcuno attenti automaticamente alla sanità pubblica, di una crisi economica che ha impoverito tutti. Nonostante ormai nella stragrande parte del Paese il virus sia quasi sparito. Siamo passati dal disastro del politicamente corretto alla tragedia del sanitariamente corretto. Difficile però ridare fiducia al Paese quando continuano a fioccare allarmi sulla fase 3 e si disegnano scenari che sono di per sé messaggi inquietanti. L’ipotesi di riaprire le scuole a settembre con gli alunni nel plexigas è solo l’ultimo esempio. Invece di continuare a lanciare allarmi, la politica si prenda le responsabilità che non sempre ha saputo assumersi e non faccia come quel giapponese ritrovato nell’isola deserta a combattere nonostante la guerra fosse ormai finita da tempo.