Dopo i ristori si deve investire sul futuro

Non saranno i ristori a salvarci in assenza di un piano per dare un futuro alla nostra economia. La chiusura forzata, gli stop a singhiozzo delle attività, il rinvio dei licenziamenti senza un’adeguata riforma del lavoro, il metadone della cassa integrazione, possono solo tenere in vita l’Italia per alcuni mesi, ma non sono né la cura né la soluzione per il malessere che ci ha investito. Oggi siamo in terapia intensiva. Occorrono anche le cure più invasive, ma poi bisogna puntare con progetti duraturi su ciò rende moderno, coeso e vitale un Paese. Non servono miracoli, ma la capacità di dare un indirizzo alla ripresa, di garantire almeno certezze a chi fa impresa. E’ una sfida, ma è anche un’occasione.

L’economia richiede uno sforzo in più, che vada oltre l’orizzonte della convalescenza. In economia non esiste l’immobilità. Se non si va avanti, si scivola inevitabilmente all’indietro. Tradotto: se non si cresce si diventa più poveri. Torniamo allora alle misure di emergenza decise fino ad oggi. Bonus, ristori, si diceva, e tutto il resto. Nel frattempo si attende come Godot il fondo Recovery promesso dalla Ue, si rifiurtano sdegnosamente i prestiti a tasso quasi zero del Mes e ci si affida al cerotto europeo per la cig (il Sure). Senza rispondere a una domanda: abbiamo un piano per ripartire? Ieri il govenro ha annunciato il nuovo "Piano Nazionale Transizione 4.0", un "pacchetto di misure che potenzia quelle già previste nella Legge di bilancio e prevede investimenti per 24 miliardi di euro".

La logica è incrementare i crediti d’imposta per un paio d’anni. Sarà sufficiente? E’ sicuramente importante, ma non pare ancora il piano di rilancio complessivo e duraturo (con interventi almeno quinquennali). Il timore è giustificato dopo aver visto gli Stati generali per la ripresa in giugno e le task force... La verità è che resta una domanda: che visione abbiamo dell’Italia nel 2025 o nel 2030? Dov’è la road map di investimenti duraturi per i settori strategici, dall’industria alla tecnologia digitale, dalla sanità al welfare, dalla formazione all’informazione (entrambe pilastri della democrazia che lo Stato deve salvaguardare)? Sono nate nuove professioni, ne sono morte altre in pochi mesi: come pensiamo di indirizzare scuola e università alla luce di questa rivoluzione? E basta ipocrisie sulle politiche del lavoro, basta difendere lo scandaloso flop dei navigator. Bisogna rivoluzionare i centri per l’impiego prima che ripartano i licenziamenti. E’ un’urgenza sociale. Per salvarci – e respirare – un minuto dopo i ristori servono investimenti rivolti al futuro (e non ai prossimi due anni) basati su innovazione e formazione. Rinviare ancora un piano per dare una prospettiva al Paese non è un errore, è una colpa grave.