Giovedì 18 Aprile 2024

Spiegatelo a Di Maio

Se ci pensate bene è un paradosso assoluto: un parlamento, e non uno qualunque, il Parlamento europeo, che vota per confermare che chi lavora deve essere pagato. Straordinario. La vicenda del diritto d’autore, per dirla in modo comprensibile, sta tutta qui e non in divagazioni stonate in tema di libertà e democrazia. Ancora oggi, infatti, e fino a quando la procedura approvata ieri non arriverà a conclusione, i signori miliardari della Rete possono acchiappare contenuti dai giornali, dai video, dalle musiche senza pagare un euro. È vero che anche loro formalmente li diffondono gratis, ma solo formalmente. Perché poi, come sappiamo, attorno alla ipercoop del web balla il mercato pubblicitario e accordi più o meno sotterranei di tipo commerciale. Insomma, un sacco di soldi su prodotti presi gratis dagli scaffali dei giornali, dei film, delle canzoni. Prodotti che hanno un autore, un editore, un distributore. Dei costi.

Bene, tutta questa gente si è giustamente stancata di fare volontariato per chi non ha bisogno. Anzi, per chi è ricco sfondato e può drenare tutte le risorse che vuole, e condizionare, loro sì, scelte, abitudini, assetti politici. A Strasburgo si è dunque scritta una pagina di civiltà che rende giustizia a tutti noi "donatori di sangue editoriale" a gente che scoppia di salute. Noi che ogni giorno, tanto per restare in famiglia, alimentiamo decine di portali informativi, e sforniamo con i nostri giornali centinaia di pagine raccontando la vita delle comunità in una costante ricerca di equilibrio e di correttezza, tanto da esserci auto imposti alle ultime elezioni politiche una par condicio non richiesta dalla legge. Lo diciamo non per avere medaglie, che poi finiscono in un cassetto, ma per chiarire i contorni di questo mondo a chi, per esempio, ora ci governa e che al Parlamento europeo ha bocciato la direttiva in nome di una presunta libertà del web, e contro una presuntissima censura preventiva, come se pagare chi ha lavorato fosse una violenza e non un dovere. Lo diciamo a Lega e 5Stelle, e in particolare al vice premier Di Maio, a cui non è bastato votare contro, ma ha voluto pure sottolineare duramente il suo pensiero da crociato della Rete. Una sorta di fatto personale. Nessuna meraviglia, del resto. Perché Di Maio, a differenza di tanti suoi compagni di movimento, ha due cose che proprio non gli vanno giù: il lavoro, e i quotidiani. Il primo lo osteggia in ogni modo, che sia a termine o festivo. I secondi sono fatti di carta, si toccano, si sfogliano, e sui territori si aprono alla collaborazione e all’ascolto di tutti, 5Stelle compresi. Come ben sanno militanti e dirigenti leghisti e grillini nelle nostre città. Certo, dicono anche la loro, e a volte la dicono contro il governo. Mica bravi come la Rete, evidentemente. Da qui l’idea del vice premier di tagliare la pubblicità delle aziende di Stato, il che non sembra proprio un inno alla democrazia. Ora Di Maio promette altre battaglie contro il voto di ieri. È un suo diritto. Noi abbiamo il dovere di spiegargli che sbaglia.