Metà contratto

Il contratto di governo va all’esame del popolo leghista e grillino, senza grossi timori di venire impallinato dalle rispettive basi. Il procedimento assomiglia in parte a quanto accaduto in Germania in occasione della riedizione dell’ultima Grosse-Koalition, dove però il referendum interno alla Spd ha ratificato un accordo completo della parte essenziale per attuarlo, ossia le caselle ministeriali a cominciare da quella del primo ministro. Quando il 4 marzo scorso gli iscritti alla Spd hanno votato SI o NO all’intesa (bandito il voto online) erano stati resi pubblici sia i termini dell’accordo sia le caselle che andavano a ciascun partito. In Italia niente di tutto ciò. Inutile girarci attorno: senza sapere chi sarà chiamato ad attuarlo, il contratto di governo è parziale, a metà. Facciamo alcuni esempi, e lasciamo stare la questione premier: tra avere ministro dei Trasporti una grillina no-tav o un leghista da sempre favorevole allo sviluppo delle opere pubbliche c’è tutta la differenza del mondo. La stessa che esiste tra vedere o non vedere all’Economia un leghista no-euro, o alla Sanità un grillino no-vax, o agli Interni un duro esponente del Carroccio piuttosto che un Cinquestelle che sulla questione espulsioni ha idee differenti, o agli Esteri un leghista che chiede l’azzeramento delle sanzioni alla Russia o un Cinquestelle che ha fatto (anche se tardivamente) professione di solida fede atlantista... Le idee camminano sulle gambe degli uomini, e sono gli uomini che fanno la differenza. E poi c’è il premier, che la Costituzione (articolo 95) mette alla base di ogni costruzione governativa, ma che nella versione molto italianizzata del contratto tedesco pare arrivare per ultimo, come un mero esecutore di un indirizzo politico che dovrebbe spettare a lui ma che invece è già stato preso da altri. Anche qui la contraddizione è evidente, una contraddizione che è urgente sciogliere e sulla quale anche il presidente Mattarella dovrà probabilmente dire la Sua.