Giovedì 18 Aprile 2024

La via d'uscita. Un patto di sistema

Non sappiamo in questa pazza crisi quali conseguenze avrà l’improvviso irrigidimento di Di Maio nella trattativa con il Pd – giudicato dai Democratici come "inaccettabile ultimatum" – e vediamo di capire come e perché siamo arrivati a questo punto.  L’8 agosto, giorno di apertura della crisi di governo, Nicola Zingaretti confermò in assoluta buona fede che il Pd era favorevole alle elezioni. Lo diceva da mesi e questo ha convinto Salvini a rompere il patto con Di Maio. Le cose sono andate diversamente non solo per il ribaltamento della posizione di Renzi. Sul segretario del Pd si è abbattuta la fortissima pressione di un vasto mondo di riferimento: dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Chiesa al volontariato, dal mondo finanziario a quel complesso di poteri e di centri d’influenza che non ha mai consentito al centrodestra di eleggere un presidente della Repubblica. Si aggiungano le 400 importantissime nomine di primavera nelle società partecipate e il quadro sarà completo. Nella controversa collocazione ideologica e politica da attribuire al Movimento.

Questo mondo ha preferito affiancargli un partito di sistema come il Pd piuttosto che far vincere le elezioni a un partito considerato antisistema come la Lega. Che i consensi popolari per Salvini fossero vicini al 40% era una pericolosa aggravante. Se riuscirà a nascere, il governo giallorosso dovrà affrontare problemi micidiali come la Bestia che si parò davanti a Dante nel primo canto dell’Inferno e ‘gli fece tremar le vene e i polsi’. Trovati i 23 miliardi per disinnescare la bomba dell’aumento dell’Iva, si dovranno far convivere reddito di cittadinanza e 80 euro con leiniziative di riduzione fiscale. Favorire le imprese o i cittadini è una scelta politica, ma sempre tanti soldi bisogna trovare. Cosa difficile a un governo compatto come è stato fino alla primavera del 2018 quello del Pd, proibitivo se i due partiti di una coalizione tirano la corda da posizioni opposte. La sconfitta del ‘cattivo’ Salvini ha fatto tornare il sorriso a Bruxelles e l’Italia incontrerà maggiore comprensione, sempre nei limiti delle regole. Il calo dello spread aiuta i conti pubblici (100 punti valgono 3,5 miliardi), ma l’economia è ferma e la cassa integrazione è aumentata di un terzo rispetto all’anno scorso. I consumi interni sono bloccati e le esportazioni soffrono. Salvini pensava di dare una frustata con la flat tax, anche in deficit. Vedremo la soluzione del governo giallorosso, se e a quali condizioni Conte riuscirà a formarlo. La metà del Paese che secondo i sondaggi voterebbe centrodestra e avrebbe preferito le elezioni è molto disorientata e teme – probabilmente a torto – un qualche aumento delle imposte. Questa incertezza, se non sarà fugata al più presto, non favorisce gli investimenti, anche piccoli. E non sappiamo quale sarà la reazione di quegli industriali del Nord Est che all’inizio della crisi hanno dato a Salvini una pubblica quanto inedita spinta verso il voto. Il successo del Capitano ha tre padri: una efficace lotta all’immigrazione forzata, una politica di opposizione (forse eccessiva, soprattutto nei toni) a un’Europa sorda e spesso ipocrita che ha preferito la contabilità dei decimali alle grandi visioni dei Padri fondatori e la prospettiva, realizzata in piccola parte, di una riduzione fiscale. Certo, si può far meglio. Vedremo come.