Venerdì 19 Aprile 2024

Infrastrutture al collasso. A14 paralizzata, lo specchio del Paese

Sabato scorso a Firenze hanno inaugurato un ponte. Ci sono voluti sei anni in più del previsto, dicono le cronache, ma nella media italica non è poi così male. Anzi, è andata talmente bene, e l’evento è divenuto talmente raro e importante, che a tagliare il nastro c’erano più autorità che ingegneri. Presidente della Regione, sindaci, autorità metropolitane. Per un ponte, anzi, per essere esatti, uno “scavalco” dell’autostrada. Roba che in Cina fanno in una notte non scusandosi nemmeno per il rumore. Da noi, no. Da noi non si fa il nuovo e non si manutiene il vecchio come si dovrebbe.

Citare Ponte Morandi è fin troppo facile, anche perché siamo pieni di strutture simili che per fortuna non crollano sotto le ruote delle auto, ma che mostrano i segni della vetustà e della trascuratezza. Insomma, della pericolosità. Con una differenza dopo il terribile crollo di Genova: che adesso per evitare guai e vittime, interviene la magistratura e mette i sigilli. Ponti chiusi, corsie dimezzate. E apocalissi di traffico, come in questi giorni, e nei prossimi tra Marche e Abruzzo a causa del sequestro di viadotti e guard-rail. Odissee nello spazio ristretto di una corsia, 8-10 ore per fare un centinaio di chilometri, e l’incubo di quello che potrà accadere da stamattina con il ritorno dei mezzi pesanti. Perché da quella parte d’Italia non ci sono solo belle spiagge, non transitano solo le persone, passano anche le merci che sbarcano e partono dai porti di Ravenna, Ancona, Bari: fatturato, Pil, occupazione. Certo, se un giudice ha ritenuto di dover intervenire in modo così drastico, avrà avuto le sue buone ragioni e altrettanto buone perizie. Ma proprio per questo nasce un senso di rabbia e di impotenza: perché si conferma che siamo arrivati in fondo all’imbuto, agli sgoccioli del nostro tesoretto di cicale; che per fortuna ci sono state le formiche della Prima Repubblica che hanno fatto tanto da consentire anche ai fannulloni, ai No-tutto e ai malandrini delle repubbliche successive di campare sugli allori, lasciando che il Paese invecchiasse, si consumasse. Ora è chiaro che in pochi mesi non possiamo rimediare a ritardi infrastrutturali di decenni, e che nel frattempo continueremo a sgretolarci, mettendo toppe qua e là. Detto questo, e proprio per questo, non bisogna (bisognerebbe) rassegnarsi, bisogna (bisognerebbe) rimboccarsi le maniche, tappare le falle e aprire cantieri. Subito. Esattamente ciò che non sta accadendo. Mentre il mondo viaggia veloce, e noi siamo come un vecchio tir sull’A14: in fondo alla coda.